venerdi sera gruppo di ricerca medianica e spiritismo

Quelli che sono morti non se ne sono mai andati sono nell’ombra che si rischiara e nell’ombra che si ispessisce I morti non sono sotto la terra sono nell’albero che stormisce, sono nel bosco che geme, sono nella dimora, sono nella folla Ascolta più spesso la voce del fuoco, odi la voce dell’acqua ascolta nel vento del cespuglio i singhiozzi è il soffio degli antenati I morti non sono sotto la terra, sono nel seno della donna. sono nel bimbo che vagisce sono nel fuoco che si spegne

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13 febbraio 2012

diecifebbraio 2012

La preparazione della mia nascita è in cammino, diviene, e la prima cosa che ha preso forma nell'attenzione che diviene sempre più umana è la curiosità.
Attraverso il mio essere con voi mi dà la possibilità di spaziare, di vedere, di cogliere quella che è la vostra dimensione; attraverso voi riesco ad allargare di molto la percezione e son affascinato, a volte, di ciò che colgo attraverso quel varco che voi mi permettete.
La morte.....ciò che è la morte per l'essere fisico, per l'essere incarnato, il mistero della morte a volte è anche definito e, ripeto, sono affascinato dal comportamento, dall'approccio che l'uomo pone nei confronti di quella che è forse l'unica certezza che lo attende fin da quando affermò il proprio arbitrio di essere uomo, di incarnarsi, di essere “essere pensante” capace di decidere.
È forse l'unico destino che appare immutabile per l'uomo, l'unica cosa certa dalla quale non può esserci scampo: la morte fisica, il superamento dell'individualità, il dono, la restituzione di quello che è stato lo strumento afferrato e voluto attraverso la nascita. Ma se questa certezza, se questa ineluttabile certezza è chiara fin d'allora, perché l'uomo non prepara quello che sarà il certo passaggio?
Viene definito mistero, ma non per l'incapacità di comprensione di quello che è la morte fisica ma per il timore e il desiderio di allontanare nello spazio e nel tempo quella scadenza che l'uomo ben certo è di avere....è qualcosa che mi riguarderà più in là, avrò tutto il tempo necessario per poterla comprendere, per poterla fare mia.
Poi giunge l'incapacità, giunge il passaggio per disperazione, per impotenza, per costrizione, per incapacità di fare altro...per impreparazione affermata.
Vorrei portare qui con noi l'esperienza di Emanuele quando parlava di morte repentina...e sì che lui ebbe il tempo, ebbe il modo e le occasioni per cogliere l'essenza del suo vivere!
Lui affermò di aver trovato quel tesoro che una morte repentina gli impedì di offrire all'altro e questo fu la vera causa d'incomprensione e d'incapacità di superamento della propria individualità; ancora dopo la sua morte costretta, violenta, affermava l'impossibilità di poter donare ciò che aveva trovato...ancora affermare il suo dover fare, la sua impossibilità di fare, fare dono, fare regalo di ciò che aveva trovato, ma è lampante quella che è stata la vera difficoltà, il bisogno anche dopo la morte fisica di fare qualche cosa.
Il superamento cosciente dell'individualità è un modo di essere, di approcciarsi a quello che è il passaggio; non è il modo attraverso il quale fare qualche cosa per poter superare quella soglia.
Essere pronti, aver preparato la propria morte fisica: questa preparazione non avviene attraverso il fare, ripeto, ma attraverso un nuovo modo di essere...essere pronti al superamento cosciente dell'individualità non per merito, non per qualità, non per punti, non per ciò che si è fatto.
Non c'è la cosa suprema da fare per poter essere pronti alla morte fisica; la preparazione alla propria morte fisica avviene attraverso una conversione che appartiene all'essere dell'uomo. La morte fisica non è una dichiarazione di impotenza, la morte fisica non è la disperazione di non poter fare altro per poter impedire il collasso del corpo e della mente.
Questo allontanare da sé la morte da parte dell'uomo, questo chiamare la morte mistero vi turba.
In fondo io credo che l'esperienza fisica dell'essere, l'esperienza fisica dell'Essere Unico anche – non abbiamo timore di affermare anche questo – l'esperienza fisica dello Spirito, l'esperienza fisica del Divino ha come unico senso e motivo l'affermazione di quel Divino.
Pertanto ciò che è vivere nella dimensione umana non è altro che affinare, riscoprire ed afferrare, affermandolo, il Divino che appartiene ad ogni uomo.
La morte fisica dell'uomo non è impotenza, al contrario, è affermazione di potenza, è testimonianza di immortalità e di purezza. Molte religioni affermano che l'uomo tende al Divino e la propria vita non è altro che questo assecondare la tendenza al Divino affermandolo quale identità intima e vera.
Pertanto la consapevolezza di essere parte di quel Tutto che chiamiamo anche Dio dovrebbe accompagnare l'uomo nella propria ricerca individuale alla preparazione di quello che è il passaggio, che non è altro che l'affermazione del Divino che è in sé.
L'uomo, attraverso la sua morte fisica, afferma la propria immortalità, la propria Divinità.
Il limitare questa affermazione al momento del passaggio affermando che esiste tutto il tempo necessario perché possa avvenire questa trasmutazione, è falso. Io credo che l'uomo abbia tutta la vita per poter cercare, preparare e coscientemente affermare il superamento cosciente della propria individualità tornando a quella che è la sua dimensione vera, divina e immortale.
Vivere la morte in fondo non è creare cupi pensieri, vivere la morte ogni giorno non è affermare il limite dell'impotenza; vivere mantenendo presente quella che è la destinazione, la scadenza, è alimentare la consapevolezza della propria immortalità e Divinità.
In fondo la ricerca che stiamo facendo dovrebbe avere questo fine, questo scopo. Il mistero della morte non appartiene a questo cerchio, la morte non è un mistero; la morte fisica è una lieta destinazione che infonde gioia anche a colui che ancora tanto tempo e tanto spazio pone davanti a sé. Accettare la morte, riconoscerla come propria nella vita di ogni giorno non vuol dire affrettare o limitare quella che è l'occasione ma rendere l'occasione sempre più pregna e capace.
In molte esperienze, in molte ricerche l'affermazione di vivere la morte ogni giorno è vera nella sua bellezza e non nella cupezza che si tende a porre solamente evocando quel termine che è morte.
La morte sia compagna perché essa darà senso e motivo al vivere dell'uomo e ripeto, fin dal momento in cui l'essere affermò la propria individualità attraverso la scelta e il peccato originale, già consapevole era allora che quella fosse l'unica , certa destinazione...il fatto che senz'altro avverrà.
Tutto il resto può essere stravolto o deviato ma, credetemi, l'esperienza fisica dell'uomo per forza do cose deve avere quella scadenza necessaria alla possibilità di affermazione del Divino.
Ripeto, il Divino si è frantumato esplodendo in mille realtà, in mille unità proprio per affermare la qualità e la purezza del proprio essere attraverso quella che è la vita, attraverso quella che è l'esperienza terrena dell'uomo e il compito primario è proprio questo: affermare la parte Divina, quella componente spirituale che ogni uomo irriga, alimenta e dirige.

Condivido l'affermazione che ogni uomo tende alla divinità, è alla ricerca di essa, alla santità, in qualche modo limitando quella....offuscando in qualche modo quella che è la testimonianza terrena di quella componente immutabile che comunque mai lascia e mai abbandona l'essere incarnato.
Tendere alla santità è anche affermazione che ciò che è santo, puro e vero, già vive nell'intimo e nell'essenza di ogni uomo.