venerdi sera gruppo di ricerca medianica e spiritismo

Quelli che sono morti non se ne sono mai andati sono nell’ombra che si rischiara e nell’ombra che si ispessisce I morti non sono sotto la terra sono nell’albero che stormisce, sono nel bosco che geme, sono nella dimora, sono nella folla Ascolta più spesso la voce del fuoco, odi la voce dell’acqua ascolta nel vento del cespuglio i singhiozzi è il soffio degli antenati I morti non sono sotto la terra, sono nel seno della donna. sono nel bimbo che vagisce sono nel fuoco che si spegne

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12 gennaio 2007

cinquegennaio 07


Ancora, adesso io, Emanuele, per il cerchio, il cerchio spiritico.

E’ mia intenzione, mio desiderio, continuare a parlare di ciò che è bene e ciò che è male; credo che sia un argomento che debba essere sviscerato in qualche modo, affinché si riesca a trovare sintonia anche su questa cosa che credo sia uno dei concetti base per legare un gruppo.
Il bene e il male, la bontà e la cattiveria, la sofferenza e la gioia. Esistono molti modi diversi per definire questi termini, esistono tantissime spiegazioni che cercano di dare reale spessore e senso a ciò che è il bene e ciò che è il male. Ognuno probabilmente ha creato la sua ed è giusto che sia in questo modo, anche perché il sentire il bene e il male è individuale, è originale, appartiene ad ogni singolo individuo per ciò che lui è e per ciò che è il suo cammino in quel momento.
L’unica cosa certa è che il bene e il male appartengono entrambi all’uomo, e non solo all’uomo incarnato, come già vi dissi l’ultima volta che ci siamo incontrati, ma appartengono ancora anche a noi disincarnati questi due concetti, questa dualità ci accompagna, è presente e ci appartiene.
Senza di una di queste due componenti saremmo monchi, saremmo parziali, saremmo incompleti…e voi la stessa cosa. È il rapporto fra queste due energie, forze, che crea la definizione dell’uomo, lo rende comprensibile, leggibile. Sono componenti ambedue basilari per la completezza, per l’essere integro, e ciò va accettato, riconosciuto intimamente dentro ognuno di noi.
Queste due forze hanno caratteristiche che variano a seconda – come già vi ho detto – dell’individuo, a seconda del cammino che lo stesso individuo ha fatto; possono variare, e di molto, col passare del tempo e questo non deve preoccupare.
L’importante però è che ognuno di noi riesca a verificare ogni tanto dentro di sé la presenza di queste forze, dando ad esse spazio affinché possano in qualche modo manifestarsi a livello intimo; sicuramente, non è indispensabile che queste forze agiscano al di fuori, ma prenderne coscienza affinché uno si renda conto di quale spessore – sì, è questo il termine – le due forze hanno dentro di noi. È importante.
C’è poi chi persegue la parte buona e c’è chi persegue la parte cattiva e questa è una scelta individuale…a che serve il libero arbitrio, se non proprio a scegliere queste due possibilità ed esprimerle, rendendole traccia?
A me piacerebbe molto portare qui in questo cerchio, quando voi lo deciderete, anche un’entità che abbia scelto il male, ma non lo farò mai se non prima che voi lo accettiate. Comunque ciò non è importante, lasciamolo...accantoniamolo ancora, per il momento.
Noi – io e voi – che credo abbiamo scelto la parte buona dell’intimo, cerchiamo di definire il cammino e la purezza di questo cammino; la purezza che porta a definire sempre meglio e sempre in modo più particolareggiato ciò che deve essere il vivere, per noi.
Non per forza agire nel male vuol dire praticare il male. La dimensione del male e il senso del male variano – vi ho detto – a seconda di ciò che è l’evoluzione individuale, a quello che può essere lo stadio vostro ed anche mio, credo: il male non è altro che non espressione del bene.
Nel momento in cui noi ci priviamo della possibilità di agire bene ( e agire bene per me vuol dire amare), nel momento in cui non amiamo nell’occasione che ci viene posta, noi pratichiamo il male.
La definizione del male si sublima, diviene sottile, è facile ingannarsi…il male non è solo voler far del male, ma il male è anche non voler far del bene nel momento in cui l’occasione viene posta e far del bene per ciò che è la possibilità individuale. Se parliamo di amore nel momento in cui viene posta un’occasione di amore, essa va accolta dentro di noi ed espressa, portandola al di fuori di noi nei confronti degli altri, di coloro che desideriamo amare. Impedirci di amare vuol dire praticare il male, praticare il male può essere definito come peccato. È sottile, torno a dire la differenza tra chi decide di essere neutro e di non porsi in campo, e di colui che invece pratica il male.
Peccare è utile, peccare ci serve, peccare ci dà dimensione, reale misura di quello che è il nostro vivere, peccare ci dà la misura della sofferenza; senza il peccato, probabilmente, non coglieremmo il reale senso della sofferenza.
La sofferenza è il campanello d’allarme, la sofferenza è il segnale e noi dobbiamo saperlo riconoscere..la sofferenza è un avviso, la sofferenza è un richiamo, la sofferenza è un chiamarci per nome, richiede la nostra attenzione, la sofferenza ha sempre un motivo che si può riscontrare.
La ricerca di esso è a volte laboriosa ma, credetemi, è possibile arrivare alla radice della sofferenza, a darle senso. Se noi non arriviamo a dare senso alla sofferenza – già ve lo dissi -, è follia.
Vi invito a porre domande se sentite il bisogno di farlo, perché il mio desiderio è di far sì che ciò che sto dicendo possa essere comprensibile per voi. Credetemi, il confrontarci – io con voi e voi tra di voi – su ciò che è bene , su ciò che è male e su ciò che è la sofferenza, è indispensabile.
D. (N) Ecco..allora, per favore, insisti su cosa vuol dire la frase “dare senso alla sofferenza”…

Ti ho detto che la sofferenza è sicuramente un campanello d’allarme, è un segnale. È un segnale che vuole evocare qualche cosa, che vuole spingere a dare senso al momento in cui stai soffrendo…è arrivare a capire perché e per quale motivo è causata la sofferenza.
D. (N) Per “sofferenza” intendi sofferenza fisica o sofferenza…

Non è importante scindere queste due cose..hanno pari valore per il messaggio che stanno lanciando, ed è un messaggio di attenzione. È importante, è indispensabile riuscire a dare senso al soffrire e, per dare senso al soffrire, la ricerca della causa è indispensabile. Non è mai o quasi mai una spiegazione razionale, ma è una appartenenza, è un riconoscere la sofferenza e la causa di essa come parte di sé stessi. Molte volte si tende a spostare al di fuori di noi ciò che è la causa della sofferenza; è quasi mai vero, anzi, sicuramente non è mai vero.
Nessun altro potrà crearti reale sofferenza, se tu non sei pronto a risuonare all’azione di esso.
La sofferenza vera nasce da dentro di noi; l’urto, l’offesa, la ferita che l’altro ti può fare trova sempre campo fertile. È possibile non subire l’urto e rimbalzare lontano chi ti offende..
D. (Fl.) In che senso rimbalzare lontano?

Non subire l’urto, non subire l’onta, non subire la ferita, la provocazione. La sofferenza vera appartiene ad una dimensione che va aldilà del corpo. Quando io ho cercato di dirvi che il male e il bene appartengono anche a noi disincarnati, è perché questo stato di cose, questo…dualismo, va aldilà di ciò che è il corpo. Capisco che sia difficile nel momento in cui sofferenza vuol dire patire, vuol dire dolore ma, credetemi, è un fatto secondario, è solamente una manifestazione di ciò che la reale sofferenza è. Nel momento in cui si esprime il dolore, è perché il corpo è giunto anche lui a soffrire, ma la sofferenza è partita molto ma molto tempo prima e appartiene a strati ben più profondi della consistenza corporale e ci appartengono, sono nostri, su di essi è scritto il nostro nome.
D. (N) Quindi il dolore è la manifestazione della sofferenza dell’anima, si può dire così?

È di una sofferenza sicuramente più profonda; non voglio usare il termine “anima” perché può distrarre, però è un…è un movimento volontario, scaturisce da te. Il soffrire e il decidere di farlo, e subire la sofferenza manifestandola fino a che non giunge ad essere percepita anche dal corpo attraverso il dolore, è una scelta, è una richiesta di appartenenza, è una invocazione di bisogno. Abbiamo bisogno di dare senso al dolore e alla sofferenza e scegliamo, a volte, di soffrire.
Ho deciso di non parlare più molto di ciò che è stata la mia esperienza terrena, ma però potrei tornare ancora lì. Quando io ebbi l’occasione, al processo, di poter negare tutto ed essere salvato, graziato, non lo feci. Scelsi io.
Potrei citare anche l’esperienza del Cristo, il mio Maestro, ma dare senso a ciò che sto dicendo so che è difficile, in modo particolare a chi riconosce la sofferenza nel dolore, nella malattia e nell’incapacità di potersi difendere; ma quando si arriva a questo stato di cose, già aldilà di una possibilità di percezione siamo giunti….
Vivere il dolore, riconoscere ad esso appartenenza, riconoscerlo come proprio, come scelto, voluto, so che è difficile.
È una stanza buia il dolore, è un vicolo senza uscita a volte la sofferenza, ma ci appartiene, è una nostra indispensabile componente. Sarà la traccia che ci porterà a quella che sarà la morte corporale che non avrà scampo. In fondo, se possiamo pensare a questo cammino, a questa elaborazione di concetto come preparazione alla morte, potrebbe anche andarmi bene, non c’è dubbio, ma dovete riuscire a dare a questo movimento un senso di appartenenza, di espressione di libero arbitrio, di volontà, di scelta.
Noi cerchiamo di valutare la sofferenza, la malattia e il dolore nel momento in cui incombono sopra di noi e quasi hanno vita propria. Noi dobbiamo arrivare pronti a questo stato di cose che, credetemi, non ha scampo, perché sarà il viaco (viatico?) che porterà alla morte, dalla quale scampo non esiste. La preparazione ad essa è indispensabile ed è possibile………Fermiamoci….

D. (J) Giungerà la morte fisica ma il problema non viene risolto.

Difatti… la mia testimonianza è proprio questa. Nel momento in cui cerco di dare immagine a quello che è il proseguire di questo stato di cose, di questa dualità della morte corporale, è proprio per cercare di spiegarti questo concetto e l’elaborazione di questo concetto, l’accettazione di essa fatta nel momento dell’incarnazione- quale è il vostro che state vivendo in questo momento – diviene più facile, la preparazione al passaggio è un dono, ed è un dono che proprio attraverso l’incontro con esseri disincarnati può divenire reale, concreto. Cercate di trarre beneficio da questa possibilità; l’incontro con esseri disincarnati, morti, ha questa possibilità; ha la possibilità di darvi questa dimensione che non vi appartiene ancora, ma che senz’altro e indubbiamente vi apparterrà.
Vi stupite, a volte, quando vi vengono a trovare entità trapassate, amici anche, che sono oramai morti da quello che è il corpo, e vi portano ancora difficoltà, smarrimento, ma tutto ciò ha un senso.
È importante che arriviate a capire che la morte non è un colpo di spugna, non è un resettare a zero tutto quanto e ripartire su basi diverse, ma non è altro che riproporle sguarnite da quello che è l’apparente, arrivati all’essenza di ciò che voi siete veramente, sfrondandolo da quelle che sono le apparenze del corpo e del vivere e dell’agire concreto e con questa essenza dover fare i conti.
Quando prima ho cercato di dirvi che mi piacerebbe portare in questo cerchio anche qualcuno che persegue vie diverse dalle nostre, è proprio per farvi capire che nulla cessa con la morte e tutto ciò che avviene in questa vita corporale che vi appartiene e a questo accadere anche la malattia e il dolore, sono proprio avvisi, messaggi, stimoli, di cui fare tesoro.
Cercate di riconoscervi un po’ di più in quella che sarà la vita dopo la vostra morte, perché è a questa vita che noi apparteniamo e diamo misura , senso; è ciò che vi aspetta…….senza dubbio è ciò che vi aspetta. Cercate di arrivare a comprendere che l’incontro con disincarnati possa servire anche questo…..lo spiritismo, la sua funzione…..
Non credo esista una risposta uguale per tutti a questa domanda; non sempre il messaggio che il dolore o la sofferenza vuol fare emergere è uguale per tutti quanti , non v’è dubbio. Molte volte la sofferenza è data davvero dal praticare il male e se praticare il male vuol dire non esprimere il bene e non dare amore nell’occasione che ci viene posta, molte volte la sofferenza è proprio questo. Questo è forse il livello primo, il più facile da comprendere. Io non….non auguro a nessuno che sia la malattia o il dolore fisico, l’urto alla bolla, che possano creare le condizioni per la comprensione, ma esistono sofferenze anche più vicine.
Cerchiamo di dare senso a questo sentirsi bene, a questo sentirsi insoddisfatti, a questo soffrire che ci accompagna ad un tenore basso, che striscia, ci avvolge , ci limita…..cerchiamo di darci un senso trovando qual è il peccato –uso questo termine che so che può dar fastidio, ma lo uso- qual è il peccato che ci dà questo stato di insoddisfazione, preludio della sofferenza. Affrontiamolo , riconosciamolo, leggiamo il nostro nome, ci appartiene, è nostro, indispensabile componente.
Mi fermo ora…
Il corpo comune, con A. io sarò con voi…
È tempo per me ora di terminare, a voi tutti il mio saluto, arrivederci.

Ancora, adesso io, A. , per il corpo comune.
Visualizziamo la catena, cerchiamola con forza, cerchiamo gli amici che con noi la compongono, portiamoli qui tra noi, facciamo loro spazio affinché si possano accomodare accanto a noi; una catena solidale, forte, protetta.
Cerchiamo i loro visi, chiamiamo i loro nomi, chiediamo a loro di essere qui con noi.
Accendiamo la candela che è qui al centro della catena, e illumina il viso di C. , la nostra amica C.
Cerchiamo il suo viso, la sua richiesta e il suo sguardo.
Sentiamo la energia che corre in questa catena, lasciamoci da essa colmare, per poi offrirla a un amico che accanto a noi si trova, più forte, più pregna di come l’abbiamo ricevuta; più forte del nostro desiderio, della nostra volontà…
Portiamo accanto a C. , tutti i nostri cari che desideriamo aiutare, facciamo in modo che la candela ne illumini il volto, lo renda riconoscibile, chiaramente riconoscibile.
Facciamo in modo che siano in questo C.C. , facciamo loro spazio, disponibili ad accettare le loro difficoltà… lasciamo anche loro, ora; visualizziamo lo spazio all’interno della catena, il nostro prato. È uno spazio di pace, nel quale poterci tranquillamente lasciare andare, certi di essere riconosciuti, accettati, amati.
Ringraziamo ora gli amici, che sono stati con noi, grati della loro presenza.
Vado ora, un bacio all’amica C. , e a voi tutti, amici.