venerdi sera gruppo di ricerca medianica e spiritismo

Quelli che sono morti non se ne sono mai andati sono nell’ombra che si rischiara e nell’ombra che si ispessisce I morti non sono sotto la terra sono nell’albero che stormisce, sono nel bosco che geme, sono nella dimora, sono nella folla Ascolta più spesso la voce del fuoco, odi la voce dell’acqua ascolta nel vento del cespuglio i singhiozzi è il soffio degli antenati I morti non sono sotto la terra, sono nel seno della donna. sono nel bimbo che vagisce sono nel fuoco che si spegne

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08 settembre 2006

unosettembre 06


Ancora, adesso io, Emanuele, per il cerchio, il cerchio spiritico.
Non voglio, e non lo farò, di parlare di ciò che avete discusso poc’anzi…credo fosse importante…ma non voglio disturbare.
Voglio continuare invece per quello che è il mio sforzarmi, rendermi leggibile da voi; sicuramente io parlerò di ciò che ho trovato nella grotta di Qumran, ma per me è importante riuscire a definire sempre meglio, sempre più concretamente, la barriera che mi ha impedito, che ha reso repentina la mia morte. Io credo che il mio errore più grande – oppure il termine migliore è peccato, perché io credo che peccato a me renda meglio l’idea – il mio peccato più grande fu quello di non condividere il tesoro da me trovato nella grotta di Qumran.
È un peccato che in grado sarò di lenire nel mio incontro con voi, dico lenire perché perdonare è un termine che non ha senso; io non credo che ciò che è stato l’atteggiamento, lo sbaglio, il peccato nel percorso di un essere, possa essere perdonato, non ha senso.
Io non voglio essere perdonato, non desidero essere perdonato. Io desidero però poter superare questo intoppo, questo errore, questo mio peccato e, per poterlo superare, passare oltre, fare in modo che divenga patrimonio mio, accettato, riconosciuto, caricato, io devo fare in modo di definire sempre più e sempre meglio ciò che è stato, ciò che ha provocato, ciò che ha causato questo mio peccare.
Sicuramente, del mio tesoro, di ciò che ho trovato nella grotta di Qumran, sarà gioia per me partecipare, condividere, ma devo essere pronto, devo essere sgombro, devo essere leggero per poterlo fare, e non per un fatto incidente, per un avvenuto miracolo, ma come mia scelta, come mia partecipazione, come mia sempre meglio partecipata comprensione.
Voglio tornare ancora a ciò che ho chiamato atto d’amore nei miei confronti da parte di fratello Giustino.
Giustino, attraverso il suo fare, ha permesso di rendere concreta quella barriera dietro alla quale celavo questo mio tesoro…è stato un atto d’amore perché attraverso di lui io ho potuto essere…non condannato – come ho detto venerdì scorso – attraverso quel tribunale…ma assolto, premiato, riconosciuto. Io caddi nella possibilità, nell’occasione di vestire ancora quei panni che io avevo riconosciuto come superflui, inutili; io caddi ancora, divenni manichino che gonfiava quegli abiti e Giustino, fratello Giustino, mi permise di gonfiarli ancora quegli abiti, per l’ultima volta fino a che io, cosciente,me li togliessi di dosso e li ripiegassi per poi poterli porre accanto a me e passare oltre.
Se non ci fosse stato fratello Giustino, probabilmente io ancora e ancora sarei stato manichino. Fu un atto d’amore, io credo, sicuramente io lo vissi come tale.
Io non posso arrivare a comprendere, a capire fino in fondo qual è stato l’animo, qual è stata la volontà, qual è stato il disegno di fratello Giustino, ma seppi che lui fu in grado di sostenere la boria dei miei abiti, la violenza di essi, e fino in fondo rimase. Fu in grado di mettere in campo la mia famiglia, gli amici della mia famiglia, fu in grado di gonfiare allo spasimo la mia figura e fu in grado di immaginare cos’altro ancora avrei potuto fare…e lo buttai lì.
Non so se i miei fratelli, che facevano parte di quel tribunale, presero possibilità di coscienza, ma io sicuramente lo feci, mi vidi chiaramente, molto chiaramente e, finalmente, coscientemente, così come li avevo indossati, ma ancora meglio, con gioia, non con rabbia – perché con rabbia li avevo indossati, a difesa, a baluardo di quelle che ritenevo infami accuse – con gioia slaccia quei bottoni, tolsi gli abiti, li ripiegai e li posi accanto a me.
Fu un grande regalo per me, fu un puro atto d’amore, io credo; lo credo e lo credo ancora.
Io dovevo per forza riprovare quelle sensazioni, quel vivere quotidiano, quell’appagante senso di forza e, grazie a Giustino, al mio fratello Giustino, conobbi il mio peccare .
Trovare un tesoro e non condividerlo con gli altri è follia; pensare solamente che renderlo visibile agli altri e condividerlo con loro possa voler dire privarsene, è follia e io non desidero più farlo, sarebbe peccare ancora.
Il tesoro che trovai ancora stretto lo stringo a me, sento in esso vibrazioni pulsare, ma temo ad allentare le braccia, temo a rilassare i muscoli, muscoli che più non esistono se non nella mia mente…è forse il timore di aprire le braccia e non trovare più nulla , è forse temere di rimanere ancora solo….
Mi pongo sguarnito alla lettura, mi pongo svestito alla lettura, mi pongo impotente ad essa….
….poi ci sarà A per il corpo comune, anch’io sarò con voi , vi chiedo di trarre possibilità nell’incontro del corpo comune e di credere in essa, perché io ci credo.
È tempo, è tempo per me ora di terminare, a voi tutti il mio saluto, arrivederci.

Ancora io A, per il corpo comune. Poniamo desiderio in esso, volontà. Visualizziamo la catena, cerchiamo gli amici che con noi la compongono, chiamiamoli per nome, evochiamoli qui con noi, siano essi i nostri cari, siano i nostri protettori, i nostri cari defunti; siano qui con noi perché desideriamo il loro aiuto , certi che possano portarlo. Evochiamo il loro viso, chiamiamo i loro nomi, facciamo posto affinché si possano sedere accanto a noi, comodi.
Accendiamo la candela, la candela di C, la nostra amica C, nostro punto di partenza e punto di arrivo; sentiamo l’energia che circola in questa catena, sentiamone la protezione, lasciamoci colmare e offriamola all’amico che accanto a noi si trova……………………………………..
Lasciamo ora C, visualizziamo lo spazio all’interno della catena, il nostro prato. Questa sera non è affollato di fiori, è affollato di visi, c’è anche il nostro, cerchiamolo, ognuno di noi cerchi il suo….c’è, per forza c’è…il mio l’ho visto subito. Cercate di riconoscerlo, vi appartiene, è vostro, siete voi. Cercate di definire sempre meglio i dettagli di questo viso, riconoscetevi sempre di più e sempre più in profondità….è il vostro viso, siete voi……..è il mio viso, è quello di A.
Fate in modo che la mente lavori molto a questa definizione dei particolari,sempre di più, sempre meglio. Cercate di definire questo viso, renderlo riconoscibile, cercate appartenenza con esso, riconoscimento, possesso, sempre di più….sempre meglio…..
Anche gli altri devono riconoscere in questo viso voi; questo è il viso di A e si riconosce bene. Sono lì, in mezzo a quel prato….ho cercato di essere sempre di più al centro di questo prato, voglio essere riconoscibile, visibile, A c’è, io ci sono.
Sforzatevi nei dettagli, cercate anche di dare forma e immagine a quello che sta dietro a questo viso, all’interno di esso. Non ci devono essere dubbi; ancora e ancora fate lavorare la mente, utilizzatela, elaborate i particolari, definiteli sempre meglio….non distraetevi, la ricerca è su ognuno di voi, ognuno per sé, sempre di più, sempre meglio, sempre più in profondità.
Quando la mente non sarà più in grado di portare nuovi particolari, lasciatevi andare, siete in un campo protetto, attorniato da amici cari.
Cercate ora Emanuele in questo campo, è qui con noi…trovatelo….

Lasciamo ora, ringraziamo chi è stato qui con noi, grati per la sua presenza.

Vado ora, un bacio a te, C, e a voi tutti, amici.