venerdi sera gruppo di ricerca medianica e spiritismo

Quelli che sono morti non se ne sono mai andati sono nell’ombra che si rischiara e nell’ombra che si ispessisce I morti non sono sotto la terra sono nell’albero che stormisce, sono nel bosco che geme, sono nella dimora, sono nella folla Ascolta più spesso la voce del fuoco, odi la voce dell’acqua ascolta nel vento del cespuglio i singhiozzi è il soffio degli antenati I morti non sono sotto la terra, sono nel seno della donna. sono nel bimbo che vagisce sono nel fuoco che si spegne

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28 giugno 2006

sedicigiugno 06


Ancora, adesso io, Emanuele, per il cerchio, il cerchio spiritico.
Ancora riguardo al cedere, riguardo all’essere medium di sé stessi. Due immagini che io credo – per quanto riguarda un cerchio spiritico – siano ben legate, una esprima tranquillamente l’altra e sia strumento per l’altra, possibilità di espressione.
Cedere è anche permettere di essere medium di sé stessi, medium che esprime testimonianza, che esprime visione del sé intimo. E’ possibile per tutti quanti voi esprimere questo, protetti da quello che è il cerchio, la protezione che il cerchio dà, ed è tempo comunque – io credo – di sgombrare il campo da quello che è l’effetto paranormale, da quello che è l’effetto dell’intervento esterno.
Essere medium di sé stessi per porsi visibili, ed è possibile farlo attraverso immagini, pensieri, sprazzi di azzurro. Il passaggio successivo diviene renderlo palese agli altri.
Essere medium di sé stessi attraverso l’espressione dell’essere sé stessi, visibili, e può essere non per forza di cose attraverso immagini definite; possono essere suoni, versi, se essi sono l’espressione del sé intimo e profondo.
Permettete che sia la vibrazione che diviene strumento, non parola, non senso, non immagine ma vibrazione, la vibrazione del liberarsi, del cedere a quello che è il cerchio, di cedere alla catena, di dare permeabilità alla propria bolla.
Questa libertà permette lo scaturire della vibrazione, della vibrazione che scuote, che libera, che porta al cambiamento, che porta a livelli di coscienza sempre più profondi della possibilità di riappropriarsi della libertà di potersi esprimere per ciò che si è, visibili, permeabili.
Essere medium di se stessi divenga pratica semplice, normale……………………

Il mio nome era S. e ancora S. io sono oggi.
Stare a sentire i vostri discorsi…….è vero, ha ragione Emanuele quando dice che cerco di banalizzare dicendo che mi sento tirare per la giacchetta nell’essere evocato…….ma in fondo ho bisogno di questo, ho bisogno affinché io possa dare senso al mio essere qui con voi, per parlare – capisco bene – per parlare di S., dello S. che è oggi, dello S. che ha bisogno di essere palese, innanzitutto per se stesso, più che per gli altri.
S. che ha ancora bisogno di essere provocato per potersi rendere visibile ed esprimere ciò che è il suo bisogno.
E’ vero, non riuscii ad aprire quel benedetto rubinetto ma capii, riuscii a capire che – in fondo – per poterlo fare era chiedere aiuto e questo era chiaro, era lampante.
L’errore – se errore per me c’è stato – fu quello di chiedere aiuto per guarire, certo, ne sono convinto, fu in qualche modo mascherare la mia richiesta di aiuto, renderla più logica, più comprensibile, più facilmente misurabile, più facilmente interpretabile, che non desse troppi sprazzi alla visione che stava dietro a questo mio bisogno, ma sicuramente era di un bisogno.
La mia difficoltà era però cercare di esprimere questo bisogno, chiedere qualcosa di preciso affinché io potessi soddisfare questo mio bisogno, questa mia mancanza, questa mia difficoltà.
Però facevo fatica a concretizzare il mio chiedere, a dare un senso a questa mia ricerca, a questa mia richiesta. Oh, sì, ho cercato, è vero, di dare immagine e concretezza a questo mio chiedere; mi fu facile, come prima cosa, con la persona che mi stava accanto. Cercai di esagerare, com’era mio solito fare, per sdrammatizzare nei momenti di difficoltà, io che in fondo risultavo e, fino allora, ero risultato come un caposaldo al quale tranquillamente potersi affidare per qualsiasi cosa, non c’erano dubbi nella mia decisione. La risposta alla domanda era sempre chiara, il mio consiglio era sempre preciso, definito, non dava adito a dubbi….sempre S. era in questo senso.
Il trasformare questo mio dare aiuto, consiglio, soluzione a uno S. che chiedeva invece aiuto, è stato molto difficile. Torno a dire, ho cercato di esagerare nel mio chiedere..


Un esempio lampante che con difficoltà esprimo, ma che voglio fare perché capisco sia importante per me poterlo fare, fu la difficoltà che incontrai – causa la mia malattia – nel poter avere rapporti sessuali con la mia compagna. Questa impotenza – usiamo pure il termine giusto – mi spaventò; la prima soluzione a questo mio spavento, fu di lenire la paura, fu di pensare che poteva essere risolto. Era una malattia e, come tale, se si curava nel modo giusto, poteva essere risolto anche quello.
Ciò mi fece guadagnare un po’ di tempo, ma comunque ci sbattei ancora contro. Oh, passò parecchio tempo prima che io esprimessi questa mia impotenza, prima che io potessi dare il nome S. a questa mia impotenza, ma il passaggio più difficile, più arduo ancora, fu quello di chiedere aiuto.
Era una cosa per me sconosciuta, apparteneva ad una dimensione intima che raramente ho espresso, e sempre perché fui costretto a farlo, mai come mio bisogno, come mio desiderio, come mia espressione, espressione di S. cosciente, non costretto.
Allora fui costretto, ma proprio perché io non c’ero nella mia scelta di chiedere aiuto, non trovai soddisfazione a questo mio esprimere bisogno in ciò, e la mia compagna…, ma probabilmente perché io non fui in grado di poter essere palese a lei profondamente, fino in fondo, non fu in grado di aiutarmi e io mi rassegnai. Errore….errore…
Vi racconto questo per cercare di comprendere anch’io quale doveva essere il modo per esprimere il mio bisogno. Ben sono certo, e su questo non c’è dubbio, che l’aprire il mio rubinetto fosse esprimere questo bisogno, renderlo palese guardando negli occhi la persona a cui lo chiedevo, senza esagerare, scherzare, tergiversare, ma esprimendo così nettamente definita, a fuoco, questa mia difficoltà. Era quello, certo, il modo.
Ma, in fondo, il cercare aiuto per ciò che era il mio essere uomo, era solo un modo per vestire questo mio bisogno. Il mio bisogno era sicuramente più profondo e non avrebbe avuto senso porre a voi questo mio bisogno; se io mi ponevo a voi e chiedevo vostra attenzione e disponibilità, in fondo era perché il bisogno da esprimere era ben diverso dall’immagine che io cercavo di dare a lui.
Non so ancora se sono in grado di definirlo, questo mio bisogno, esprimendo una richiesta a voi che state qui a sentirmi….credo che dovrò farlo, ma è il modo che non ho ancora capito. In fondo non devo vestirlo con immagini che appartengono a delle azioni, a dei modi di fare, perché qui non esistono modi di agire e di fare, non esiste un’azione che possa soddisfare il mio bisogno.
Esiste qualcosa d’altro e io devo coglierlo…e sono disposto a porre S. qui, nella ricerca della definizione del proprio bisogno e non mi interessa quanta disponibilità voi ponete in questo nostro incontro.
In fondo è tempo di smetterla di scherzare sull’evocazione, ma se tirate la giacchetta io ci sono; S. ancora oggi è qui, in questo cerchio si pone.

Ancora, adesso io, A., per il corpo comune.
Io credo dovrebbe essere la prima cosa da fare e sento anche sia giusto lasciare spazio. Sono onde, vibrazioni che, se espresse, non ci disturberanno poi, attraverso le maglie di questo nostro essere assieme nel corpo comune. Cerchiamo gli amici, chiamiamoli, cerchiamo di ricordare le fattezze dei nostri cari defunti, anche loro portiamoli qui con noi, ne abbiamo bisogno.
Sentiamo che, senza di loro, spazio vacante rimarrebbe; riempiamolo con la loro presenza, cerchiamo di ricordare i loro visi, le loro attenzioni nei nostri confronti, le loro parole nel chiamarci, le nostre parole nel chiamarli qui con noi, per chiedere aiuto.
Visualizziamo la catena, la nostra catena. Ci è facile ricrearla, darle forma, fattezze, solidità….è la nostra catena. Accendiamo la candela che davanti a C., la nostra amica C., si trova; è una candela che serve a illuminarle il viso, a darci punti di riferimento. La sua luce è calda e ammorbidisce i tratti di ognuno di noi. Cerchiamo di cogliere l’energia che scorre in questa catena, lasciamoci colmare, grati di questo dono, e offriamola all’amico che accanto a noi si trova……
Lasciamo ora C., visualizziamo il nostro prato, lo spazio all’interno della catena costellato di fiori, profumi, colori…lasciamo ora anche i nostri amici e ringraziamoli………………………….
Certo, è vero, un pochettino S. mi intimidisce;anch’io dovrei cercare un po’ meglio di individuare quella cosa da donare, della quale privarmi.
Io, dopo la morte fisica, mi sono creato un’immagine, dei miei particolari che mi potessero in qualche modo essere di riferimento qui, dove immagini e dimensioni non esistono, e immagino tutto quanto me stesso all’interno di una grande borsa che mi trascino appresso, è una mia borsa.
Come tutte le borse delle signore è piena di caos, però io so che quando ho bisogno ci infilo la mano e trovo sempre qualche cosa di caldo da stringere, per poter riscaldare un poco questo mio essere così, senza forma.
Ciò che devo donare, ne sono certo, è in questa mia borsa e tante volte l’ho già afferrato, ne sono sicuro; ma il timore che nello svelarlo mi venga in qualche modo a mancare, ancora è presente.
Ci riuscirò, certo; lo farò, sicuro. L’ho promesso.

Vado ora. Un bacio a te, C., e a voi tutti, amici.