venerdi sera gruppo di ricerca medianica e spiritismo

Quelli che sono morti non se ne sono mai andati sono nell’ombra che si rischiara e nell’ombra che si ispessisce I morti non sono sotto la terra sono nell’albero che stormisce, sono nel bosco che geme, sono nella dimora, sono nella folla Ascolta più spesso la voce del fuoco, odi la voce dell’acqua ascolta nel vento del cespuglio i singhiozzi è il soffio degli antenati I morti non sono sotto la terra, sono nel seno della donna. sono nel bimbo che vagisce sono nel fuoco che si spegne

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04 agosto 2008

venticinqueluglio 08

Ancora, adesso io Emanuele per il cerchio, il cerchio spiritico.

Mi piacerebbe…anzi, devo dire mi piace, poter parlare un poco della provocazione.
La provocazione è uno strumento molto capace, molto abile, una leva veramente capace di moltiplicare la sua azione. Ho imparato una cosa e l’ho imparata – poi ve ne parlerò, probabilmente – l’ho imparata da quello che fu il mio processo, da quello che fu il mio essere giudicato da parte dell’amico Giustino.
Comunque la provocazione, io credo la provocazione migliore, quella più capace, quella più abile, passa attraverso l’esposizione, lo svelarsi di noi stessi. Cosa intendo dire con questo?
Il permettere all’altro, alla persona con la quale si desidera convivere, si desidera avere un atto d’amore – certo, questo è il termine – si desidera in qualche modo amare, attraverso la provocazione, attraverso il confronto… la provocazione – ripeto – diviene capace nel momento in cui siamo in grado di renderci visibili, di renderci veramente trasparenti affinché ciò che noi siamo nelle tre componenti, nel limite del possibile possa divenire comprensibile, leggibile.
Per fare questo dobbiamo essere in grado di utilizzare le capacità dell’altro, le capacità di lettura, di visione e di sentire, perché ancora di tre componenti stiamo parlando. Bisogna essere in grado di trovare il linguaggio giusto affinché la comprensione e la capacità di visione dell’altro divenga capace, proficua.
Se noi siamo in grado veramente di porci sgombri, fare in modo che nessun pensiero di possibili mascherature o paraventi si frappongano fra queste due persone che desiderano incontrarsi, la provocazione può avvenire nel verso giusto, nell’azione davvero giusta, buona.
Pensare che la provocazione passi attraverso il giudizio e la lettura dell’altro è un errore. Non siamo in grado di essere così capaci di leggere l’altro.
Possiamo credere, possiamo intravedere, e molte volte ciò che vediamo e intravediamo può essere anche sprazzo di bontà, di bontà di visione, di bontà di lettura, ma rimane comunque sempre parziale e questa visione verrà comunque filtrata e giudicata dall’altro attraverso gli strumenti e i filtri che l’altro possiede.
Allora, qual è il modo giusto, quello corretto, per far sì che il confronto divenga buona provocazione? È quello di rendere davvero sgombro ciò che noi siamo, togliersi…può apparire una battuta ma…essere nudi di fronte agli altri; la nudità è provocazione, è scandalo, è reazione provocata…però, come già ho detto, il modo sul quale bisogna lavorare è trovare la capacità, il linguaggio, il modo giusto.
Rendersi trasparenti affinché l’altro possa attraverso di te vedere te stesso; può apparire un’affermazione illogica, che non ha modo logico, ma così è. Quando l’altro vuole confrontarsi con te, tu sei solamente un punto al centro di ciò che l’altro è, l’altro ti avvolge completamente e se tu sei in grado di togliere quel punto cieco che tu sei di fronte a lui, l’altro sarà in grado di vedere sé stesso aldilà della tua presenza.
È possibile verificarlo, è possibile provarlo, è possibile praticarlo, è possibile imparare a fare questo. La provocazione migliore, quella buona, quella capace, passa attraverso lo svelare ciò che noi siamo.
Prima vi dissi: “ io imparai questo da Giustino”. Giustino fu mio maestro in quel caso e fu al mio processo…lui era la persona che mi accusava, era la persona che mi fece condannare a morte.
Ma lui, attraverso questa abilità che già gli apparteneva, fu in grado di farmi condannare a morte.
Lui, durante il processo, mai una volta pronunciò il mio nome…lui pose sé stesso al centro di quel tribunale, al centro di quel processo. Io ero un dettaglio, ma era ciò che lui credeva e ciò in cui lui credeva che veniva sviscerato, reso palese, ampliato,spiegato, reso comprensibile e io divenivo un punto di disturbo semplicemente, in quel disegno che lui fu così abile a disegnare, a pennellare.

Mai una volta fece il mio nome. Fu la cosa che mi provocò di più, che mi fece reagire a malo modo, che mi fece sbottare, che mi fece perdere il controllo dando vera e reale, visibile a tutti, ciò che era la mia vera indole, ciò che era la mia maschera…ciò che era la mia boria.
Non fu fratello Giustino a condannarmi, mai lo fece, ma permise ai giudici di vedere realmente ciò che io ero; fu abile anche, certo..è vero, a manipolare la mia presenza in quell’aula…conosceva bene quali punti, quali leve, quali bottoni premere. Lui voleva la mia condanna, credeva fosse giusto che io fossi condannato…io ero un dettaglio che stonava, che incrinava quella che era l’immagine che lui aveva dato del giusto, del bene.
Mai una volta pronunciò il mio nome; ben sapeva quale magia esiste nel pronunciare il nome dell’altro. Tante volte lo feci io accompagnando il mio nome dai miei titoli, dalle cose buone che io credevo di aver fatto, dalle opere.
Il gioco della provocazione è abile, capace, in grado di scardinare, in grado di forzare, costringere a reazione, far perdere il controllo. Sapete bene che io credo che la perdita del controllo sia il primo momento attraverso il quale si può arrivare a cogliere visione un poco più pura, un poco più precisa, di ciò che noi siamo.
La nostra mente è abile, già vi dissi, a trovare giustificazioni, filtri, maschere. Se noi siamo in grado di far sì che essa reagisca perdendo controllo, anche noi prenderemo visione, capacità, possibilità…
La provocazione deve trovare il linguaggio giusto, deve trovare modo affinché l’altro possa comprendere ciò che tu dici.
Quando Giustino, attraverso la sua arringa mi fece condannare, non utilizzare il linguaggio per parlare con me, utilizzava il linguaggio e la voce per parlare ai giudici e dire a loro ciò che già loro pensavano. Gli è bastato poco, gli è bastata qualche spinta affinché loro potessero scegliere, in piena coscienza, nella piena convinzione di fare la cosa giusta. Abile è il mio fratello Giustino….
Scusate se ho messo foga in questa mia possibilità……………………………………………………
Devo dire anche che anch’io sarei contento che la mia voce non fosse più qui, in questo cerchio…già ve lo dissi…ma affinchè la mia voce non sia più parola in questo cerchio, abbisogna che qualcosa di nuovo, un’entità nuova, una spinta nuova, un’energia nuova crei traccia affinché possa essere seguita da questo cerchio. Credo che ciò sarebbe utile anche per me, non vi è dubbio…io anello paritario, con le stesse aspettative che voi avete, un poco più leggero, è vero, perché ormai le mie zavorre sono diventati bagagli che ormai ho staccato da ciò che è Emanuele…per voi è impossibile fare questo, ancora sono dentro di voi questi pesi. Io sono riuscito a porli accanto a me.
Già all’interno di questa valigia, vi ho detto, ho preparato e ho ordinatamente inserito tutti i miei abiti, tutte le mie cose, ma ancora li tengo cari accanto a me, ma sono pronti, ne sono certo; anch’io ho bisogno di quello spunto ulteriore che mi faccia fare un piccolo passo ancora.
Io non so se riesco a definire in quale direzione porti questo piccolo passo che sto cercando…è una domanda alla quale faccio fatica a trovare risposta. So per certo però che voglio passare oltre, voglio far sì che questi bagagli che prima erano pesi divengano staccati, allontanati da me per rendermi un poco più leggero per essere capace di fare qualcosa che mi porti un poco più in là…ma dove di preciso non riesco a definirlo, non è…non è…

Cerchiamo ora la pace della nostra grotta, visualizziamo la luce che casca dall’alto a illuminare il nostro cerchio, un cerchio di pietre quali sedili.
Sistemiamoci comodi, pronti ad abbandonare ogni rigidità, attenzione, controllo. Abbandoniamo il nostro corpo, rilassiamo; non c’è timore di cascare, la luce ci attrae verso l’alto, ci sostiene, ci alimenta, ci riscalda, ci protegge. Lasciamola cadere sul nostro corpo, come acqua che ci lavi e che porti tutte le scorie a scivolare fino a cadere a terra, su quella sabbia che le inghiotte, le filtra.
Sentiamo che la luce sempre di più verso l’alto ci attrae e rende stabile la nostra presenza, in equilibrio, solida. Il nostro respiro rallenta, a chetare il nostro corpo che più non ci serve. Ora qualcosa di caldo si illumina dentro di noi… possiamo portarlo fuori, di fronte, al centro di questo cerchio, per fonderlo con le presenze degli altri, gli amici che con noi formano questo corpo comune.
Sentiamo forte la loro presenza, il loro desiderio… possiamo tranquillamente abbandonarci anche noi ad esso…è dolce abbandonarsi, è piacevole cadere, certi di essere accolti, rinfrancati, sorretti, protetti…compresi.

Attraverso la respirazione riprendiamo contatto con il nostro corpo, accarezzandolo con il pensiero, è nostro, ci appartiene, siamo noi. Visualizziamo la catena, sentiamo tutti gli amici che con noi la compongono, sentiamoli con noi…siamo loro grati per la loro presenza.

È tempo, è tempo per me ora di terminare. A voi tutti il mio saluto, arrivederci.