venerdi sera gruppo di ricerca medianica e spiritismo

Quelli che sono morti non se ne sono mai andati sono nell’ombra che si rischiara e nell’ombra che si ispessisce I morti non sono sotto la terra sono nell’albero che stormisce, sono nel bosco che geme, sono nella dimora, sono nella folla Ascolta più spesso la voce del fuoco, odi la voce dell’acqua ascolta nel vento del cespuglio i singhiozzi è il soffio degli antenati I morti non sono sotto la terra, sono nel seno della donna. sono nel bimbo che vagisce sono nel fuoco che si spegne

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07 maggio 2008

duemaggio 08


Ancora, adesso io Emanuele, per il cerchio, il cerchio spiritico.

Io ancora dovrò parlare e dovremo parlare di ciò che è la “professione di fede”… ma accantoniamo questo termine e cerchiamo di capire cosa ci impedisce, cosa ci ostacola, che cosa ci rende incapaci, dico, “ci” rende incapaci perché sto parlando anche di me, di Emanuele, e farò……… di parlare di Emanuele.
Credo che sia la paura, in fondo, che ha impedito ad Emanuele di realizzare ciò che Emanuele è.
Emanuele ha avuto diverse stagioni attraverso le quali ha cercato di esprimere la sua potenzialità;
sono stagioni che in qualche modo ho cercato di colmare, di realizzare, e sono stato in molti casi cattivo E. , nelle vesti che in quel momento portavo. È semplice dire che sono stato un cattivo prete – su questo non vi è dubbio, ho la certezza – e sento che non è stato per un mio errore, perché il realizzare E. , ciò che E. era, l’uomo E. , mi ha impedito di essere un buon prete.
Se fossi stato un buon prete difficilmente avrei realizzato l’uomo E. ; ma anche nel momento in cui attraverso la mia presa di coscienza, attraverso il mio cedere con la caduta del Libro a terra, la paura mi ha assalito nuovamente. In quel momento io trovai quello che ho chiamato il tesoro, ma la paura di non poterlo condividere mi ha impedito di essere pronto alla mia morte.
Io sicuramente morii, mi uccisero, non vi è dubbio; l’atto fu chiaro, facilmente comprensibile, leggibile, non dà adito a possibilità di interpretazione: io morii su quel rogo, non vi è dubbio, non c’è da pensare se fosse stato qualcun altro che era là sopra ed E. avesse potuto continuare a vivere… no, non vi è dubbio, Emanuele arse là sopra. Ma anche col mio tesoro in mano ebbi paura, chiamai la mia morte “troppo repentina”, che mi rese incapace di condividere ciò che colsi e questo mio sentirmi incapace di condividere ciò che colsi mi rese pauroso, pesante, greve.
Il timore di non poter condividere ciò che avevo trovato mi faceva sentire incompleto, irrealizzato, incompiuto. Ma quanto ero cieco! E quanto, probabilmente, lo sono ancora oggi!
Ma oggi sono in grado di prendere coscienza, di capire, di toccare con mano la possibilità che ancora mi viene data, di poter condividere il tesoro che ho trovato…e sono qui, con voi.
Il timore della morte che ti rende impotente, incapace, che ti preclude possibilità…è questa la grande paura che frenò, tarpò le ali, castrò E. ed è la paura che sono certo che pervade la dimensione umana, terrena, dell’essere che vive, che cammina, che pensa, che decide, che crede di scegliere ( e a volte lo fa ).
La morte non esiste. La morte su quel rogo non mi impedì di condividere il tesoro che trovai. Lo sto facendo oggi, con voi.
Quanto fui cieco, non in grado di vedere, di comprendere che la morte dell’uomo non preclude la possibilità di condividere nuovamente, di esprimere ciò che lui realmente è!
Arrivare a comprendere questo, affermarlo con forza, è per me oggi professione di fede, mi sento saldo, retto, in questo mio affermare.
La morte non mi ha impedito, la morte non ha precluso, la morte non mi ha reso incapace, impotente…io ancora posso, io ancora sono, io ancora condivido. Il tesoro rimane tale, la morte non mi ha impedito di donarlo.
La scelta della vita terrena è una forma, è un’esperienza. Potrei oggi arrivare ad affermare che non per forza di cose all’essere è richiesto di vivere una vita terrena.
È un’affermazione che può apparire fuori di qualsiasi logica, ma credo che sia realmente così. Se l’uomo fosse in grado di vedere veramente, di capire coscientemente di poter essere ciò che è, difficilmente attraverserebbe l’esperienza della vita.
In fondo il vivere, il nascere e il morire, per quello che è il corpo fisico, è un’affermazione di ciò che ho appena detto. L’uomo ha bisogno di affermare sé stesso e lo fa attraverso una metamorfosi, un’evoluzione, una trascendenza.
L’uomo sceglie di vivere, profondamente, attraverso un libero arbitrio che non è limitato dalle vesti umane, ma un libero arbitrio che non ha scampo se non affermarsi attraverso ciò che io chiamo professione di fede, affermare sé stessi attraverso l’esperienza terrena, costruirlo…un pezzo alla volta oppure demolirlo un pezzo alla volta nel momento in cui è stato costruito.
Ci si mette la metà della propria vita terrena per costruire l’essere umano e l’altra metà per demolirlo e affermare nuovamente, con forza, l’origine. Che senso ha questa affermazione, che bisogno esiste che l’essere, l’entità, si affermi? È per dare misura, è per dare completezza.
Può essere possibile…io credo che esistano forme diverse per l’affermazione di questa essenza.
Noi conosciamo questa, che è quella della vita…ma, credetemi, il peso più greve, la zavorra più grossa, è la paura di morire, è dare causa a questa morte, è dare veste, immagine…e il combattere questa morte cercando di allungare, di garantire vita, ci logora…ma è indispensabile che l’essere si logori in questa affermazione? Non lo so, ma così è per noi, non vi è dubbio.
La morte non esiste…la morte non esiste…la morte non impedisce all’uomo di essere, di affermarsi.
Vorrei anche cercare di capire da che cosa è data quest’armonia di cui abbiamo parlato, quest’armonia che, se in essa ci sentiamo facenti parte, ci sentiamo di muoverci naturalmente, senza fatica.
L’ho chiamata anche respiro perché è forse l’immagine che mi soddisfa in modo migliore…l’armonia, l’essere orientati nella direzione giusta, è sentirsi alimentati riempiendoci, svuotandoci nel modo corretto, in sintonia con chi ci sta attorno, in comunione e non solamente in comunione con gli esseri umani, con gli uomini che condividono con noi quest’esperienza, ma anche con questo mondo, ambiente, universo, che in funzione nostra respira in sincrono con noi.
Ogni cosa è alimentata attraverso un respiro, un riempire e un vuotare…un creare forma e svuotarla, un dare evidenza e toglierla…
Questo respiro è facile da cogliere nel silenzio, nel buio; nell’incapacità dei sensi si coglie questo afflato, ed è dolce di una dolcezza che non gustiamo, è piacevole di un suono che non cogliamo, è morbido di un tatto che non sfioriamo….è il nostro essere qui che permette questo respiro, e la coscienza che alimenta il nostro essere qui rende il nostro essere qui rende il nostro respiro più profondo, completo, rotondo…………………………………………………………………………

È facile cogliere il movimento di un fiore che sboccia, è facile seguirne l’evoluzione, il tempo che scorre…ma è possibile cogliere anche l’evolvere di una pietra nel suo lento divenire…anch’essa respira, alla ricerca di un ritmo che è musica, che dialoga con la danza dello sbocciare di un fiore…

Cerchiamo il corpo comune ora.. formiamo la catena…e, se non credete che sia follia, cerchiamo di portare qui con noi anche fiori e pietre, per creare anche con essi un corpo comune…..

È buffo, io credo, cogliere imbarazzo o anche vergogna quando si usano termini quali “professione di fede”. So…so…sono sicuro, certo, che le parole possono evocare immagini talmente scontate, definite, da distorcere il vero senso dell’affermazione…ma per me è gioia affermare oggi, senza più recitare preghiere o “credo”, affermare che io sono certo che la morte non esiste.

È tempo, è tempo per me ora di terminare.
A voi tutti il mio saluto, arrivederci.