venerdi sera gruppo di ricerca medianica e spiritismo

Quelli che sono morti non se ne sono mai andati sono nell’ombra che si rischiara e nell’ombra che si ispessisce I morti non sono sotto la terra sono nell’albero che stormisce, sono nel bosco che geme, sono nella dimora, sono nella folla Ascolta più spesso la voce del fuoco, odi la voce dell’acqua ascolta nel vento del cespuglio i singhiozzi è il soffio degli antenati I morti non sono sotto la terra, sono nel seno della donna. sono nel bimbo che vagisce sono nel fuoco che si spegne

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13 agosto 2008

ottoagosto 08

Ancora, adesso io Emanuele per il cerchio, il cerchio spiritico.

Credo che sia difficile, molte volte, rispondere a domande che prima che porre agli altri poniamo a noi stessi… ma il porle agli altri ci permette di esprimerle, ci permette di codificare una frase, mettere delle parole una accanto all’altra affinché possano divenire un quesito ben preciso, ma credetemi, queste stesse domande già molte volte ci siamo posti senza per forza di cose formulare una frase, dare voce…
Già una volta vi dissi che ciò che chiediamo agli altri in fondo è ciò che vorremmo che noi ci chiedessimo o che qualcun altro ci chiedesse… ed è vero, credetemi.
Ciò che noi offriamo agli altri è ciò che desideriamo ricevere, e quale dono migliore se non il quesito, una richiesta d’aiuto?
Io allora cercai di chiarire questo mio concetto parlando di quello che erano i rapporti tra due persone… tra due persone che stanno insieme il dono reciproco era proprio la richiesta reciproca, in fondo, non vi è dubbio, ne sono certo.
È vero, molte volte non troviamo risposta, ma continuiamo a lanciare domande e le domande vere sono le domande che poniamo alle persone che sentiamo che ci vogliono bene, che sentiamo che noi proviamo qualcosa per loro; quantomeno ci poniamo in uno stato di dipendenza attraverso una domanda, attraverso una richiesta d’aiuto. Ci poniamo bisognosi, in fondo.
Quello che è sempre stato, che sempre è stato considerato come uno stato di debolezza, di difficoltà – che invece io non credo che sia – perché se davvero siamo in grado di essere bisognosi potremo ricevere…
Domande che non hanno risposta, ho detto. Quando fui prete era tutto molto più semplice, il libro dava tutte le risposte, ma già anche questo ve l’ho già detto.
Per tutte queste domande così importanti, così alte, esisteva una risposta, esisteva il catechismo che dava questa risposta e queste risposte già codificate, già scritte, già messe in ordine alfabetico con un indice preciso, davano la possibilità di non più cercare… bastava aprire il libro se tu te ne fossi dimenticato, perché si imparava a memoria proprio per permetterti di non più cercare e non porre più dubbi… ma ben certo oggi sono che, di tutte queste domande, sia difficile avere una risposta.
La risposta più logica, più saggia, è quella di dire “io sto cercando risposta a questo mio quesito”.
Io credo che esista un’inerzia precisa che porta l’uomo ad essere in disequilibrio e anche questo già molte volte ve lo spiegai. Naturalmente siamo disequilibrati, e questo disequilibrio ci porta, con una forza naturale, universale, a muoverci.
Noi abbiamo bisogno di dare però motivo a questo nostro disequilibrio; lo chiamiamo insofferenza, lo chiamiamo difficoltà, malattia, possiamo anche chiamarlo gioia, allegria, desiderio… è la stessa identica cosa, ma ,credetemi, questa forza che ci porta a disequilibrarci non è altro che la corrente naturale, originale.
Tutto quanto è in movimento, tutto quanto si sposta, diviene, matura.
Cercare di dare risposte credo che sia anche buono; questo serve in fondo a far sì che la mente lavori nella direzione giusta, abbia l’occupazione che le permetta di elaborare, di lavorare, di essere viva.
Il vero disequilibrio è la quiescenza, è la stabilità, è l’errata convinzione di poter essere stabili, fermi, soddisfatti, colmi. Non può essere, credetemi.
Il vero stato naturale per l’uomo è questo disequilibrio… ma dare senso ad esso lo pone quale naturale stato dell’uomo, non ci crea più difficoltà o disagio, viene riconosciuto e riappropriato come condizione naturale, essenziale, facente parte dell’uomo, del vivere… ma non solo del vivere con la veste fisica, materiale, ma anche la nostra condizione è disequilibrio.
Io non so se questo movimento abbia termine, oppure, come dice qualcuno, rallenta avvicinandosi alla meta.
Non ho ancora tracce di coscienza per affermare una cosa oppure l’altra, ma non è neanche importante che io capisca ed elabori questo concetto; non ne ho bisogno.
Ma torniamo a quella che io credo sia una condizione importante e che riguarda la provocazione. Voglio spiegare meglio quell’immagine che ho dato, dell’io tutt’attorno e dell’essere col quale ci confrontiamo, di fronte a noi quale punto cieco del nostro orizzonte.
Non vi è mai capitato di incontrare qualcuno che cerchi un confronto con voi e non fa altro che ascoltare ciò che lui dice e non percepisce nessuna parola che voi dite?
Ma è normale tutto questo; l’energia, la spinta, il bisogno era talmente grande…tu servivi come punto di riferimento – il punto cieco, sì – attraverso il quale far scorrere quella che è la presenza dell’altro. Quando la fame e la sete di essere è così grande, anche un palo potrebbe essere sufficiente quale confronto.
Il vero confronto è lo scambio e ben voi lo sapete. Quando l’attenzione, l’opinione, la presenza dell’altro è cara, diamo massima eco, risonanza a questo dire dell’amico che si trova davanti a noi…le parole sono vibrazioni, le vibrazioni smuovono, hanno la capacità di aprire ciò che normalmente offriamo chiuso all’altro. Ma la vibrazione può essere sgradevole oppure armonica…è il gruppo che fa questa differenza, è il cerchio, è la protezione e il riconoscimento di esso, l’accettazione, l’affermazione del cerchio e, quale passaggio successivo, del corpo comune, non vi è dubbio.
Se la vibrazione è valida per ciò che sono i sensi fisici dell’uomo, è valida anche per quelle che sono le capacità, le parabole, le ricettività di quello stato spirituale che in simbiosi con quello fisico vive.
Il suono di una voce, l’eco di un nome…

Riguardo all’evoluzione ancora qualcosa vorrei dire. Per quello che sono le scuole, per quello che sono le religioni, per quello che fu il mio essere prete esistono gradi precisi di riconoscimento della crescita spirituale dell’uomo, che portano al riconoscimento di migliore capacità, bontà, potenza dell’uomo. Ma tutto ciò è sbagliato. Come può essere riconosciuto da un altro il livello di coscienza individuale?
Io credo che – come però già avviene ma avveniva anche in quella che era la mia comunità – è indispensabile per le comunità quali erano la mia, che si mantenesse il gruppo affinché l’uomo non si allontanasse troppo da quello che era il dire e la vibrazione comune fatta attraverso la preghiera e la liturgia. Vi ho detto, la vibrazione apre e chiude. Se riusciamo a mantenere all’interno di una comunità un suono, una vibrazione che stabilizzi l’attenzione dei fratelli, saremo in grado di tenerli sotto controllo. Ma se noi cessiamo, se noi rendiamo muta la preghiera, l’istruzione, la lettura dei libri sacri…..credo che la condizione migliore, la più proficua per colui che cerca, è il romitaggio, è la grotta, è il confronto intimo con sé stesso, senza suoni che disturbino, voci che distolgano, istruzioni che ammansiscano. È nel silenzio, nella solitudine.
La misura di tutto ciò l’ho avuta dopo la mia morte. Credetemi, il buio, il silenzio che mi hanno accolto…io non so se per gli altri, per chi prima di me ha superato quella soglia la condizione sia stata la medesima, ma per me fu davvero buio e silenzio e in questo buio e silenzio i miei pensieri sono decantati. Tutto ciò che si muoveva è naturalmente caduto, è scomparso…rimani solo con te stesso; le voci che sentivi, le voci che non più senti, l’eco di queste voci anch’esso è andato smorzandosi. Buio e silenzio.
Il termine ultimo della comunità è la solitudine; la punta, il vertice è l’essere soli nuovamente.
Sento in me ancora un poco di bisogno, in questo stato, della tranquillità salubre del buio, del silenzio. Quando parli sei da solo, la tua voce è musica; quando la tua voce parla a te stesso è calore…
Bando..bando a questi pensieri, ora…e cerchiamo la nostra grotta, cerchiamo il nostro corpo comune.


Visualizziamo la luce che cade dall’alto, individuiamo il nostro sedile, il nostro posto…prendiamone possesso, accomodiamoci, non troppo stretti, lasciamo che ci sia spazio tra di noi perché chi volesse con noi sedersi possa farlo, comodamente.
La luce che cade dall’alto è come acqua che ci lava………………………………………………….
Dentro di noi c’è qualcosa di luminoso, caldo, che possiamo portare al di fuori di noi, di fronte a noi ed offrirlo…………….

Ho sempre pensato che soddisfare quelli che fossero i desideri fosse il modo giusto di vivere. Non mi posi mai problemi, dubbi, rimorsi…la fedeltà era solo a me stesso e ciò che era mio desiderio.
Sapevo, ero certo che soddisfare ciò che desideravo, ottenerlo, mi dava energia, soddisfazione…ma quando la malattia mi impedì di essere ciò che io desideravo, qualcosa si ruppe.
Il riconoscermi impotente mi ha sicuramente aiutato a morire, a cedere, ad abdicare. Se non soddisfare ciò che era il mio desiderio poteva anche essere accettabile…non sempre avveniva, ma comunque qualche volta ancora sì, ma la cosa peggiore era riconoscere di non poter soddisfare l’altro.
Mezzo uomo…mezzo uomo…mezzo uomo… dov’era finita la vigoria, la prestanza?
La pietà scarnifica, la pietà ti toglie non solo i vestiti di dosso, ma la pelle. La pietà ti definisce, ti pone un’etichetta, ti cataloga, ti relega.
D. (N)  Perché hai attribuito tanta importanza alla prestanza fisica?
Perché era lo strumento, era l’immagine, era la possibilità di soddisfare ciò che desideravo…era essere riconosciuto, apprezzato, qualificato.
D. (N)  Senza prestanza fisica ti sentivi monco?
La difficoltà è maggiore, devi cercare più in profondità, devi esprimere doti che mai avevi praticato, espresso, non ce n’era bisogno. Dovevi creare una nuova immagine – dello stesso uomo, non vi è dubbio – tante volte me lo dissero… ma aveva tratti diversi, meno virili……………… via!
Ciò che dice Emanuele, riguardo al buio e al silenzio, è una calda coperta che puoi tirare fin sopra agli occhi quando ti serve.
D. (N) E tu ti senti bene al buio, sotto questa coperta?
Tutto quanto è cheto, in attesa del giorno…………via…………via…………


Cerchiamo la catena ancora, riconosciamoci in essa.
Attraverso il respiro torniamo ad accarezzare il nostro corpo, a divenirne padroni.
Ringraziamo gli amici che sono stati con noi, grati…
Un’ ultima cosa desidero ancora dire riguardo al disequilibrio.
Per molti, purtroppo, il disequilibrio appare come una lunga caduta, una caduta senza fine, senza che mai il tonfo possa avvenire, ma così non è, così non è. Il disequilibrio è una situazione che puoi accompagnare, vivere, in essa riconoscerti.

È tempo, è tempo per me ora di terminare, a voi tutti il mio saluto.
Arrivederci.