venerdi sera gruppo di ricerca medianica e spiritismo

Quelli che sono morti non se ne sono mai andati sono nell’ombra che si rischiara e nell’ombra che si ispessisce I morti non sono sotto la terra sono nell’albero che stormisce, sono nel bosco che geme, sono nella dimora, sono nella folla Ascolta più spesso la voce del fuoco, odi la voce dell’acqua ascolta nel vento del cespuglio i singhiozzi è il soffio degli antenati I morti non sono sotto la terra, sono nel seno della donna. sono nel bimbo che vagisce sono nel fuoco che si spegne

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07 gennaio 2009

duegennaioi 09

Ancora, adesso io Emanuele, per il cerchio, il cerchio spiritico.

Non desidero entrare in merito a ciò che avete detto. Preferisco che abbia il tempo di decantare affinché possa prendere la dimensione giusta, quella che gli compete…la reale dimensione, il reale spessore.
Voglio allontanarmi per parlare di qualcosa che dissi o meglio dovrei dire che noi, assieme, tutti quanti dicemmo, elaborammo…perché è un errore, credo, arrogarmi il diritto di essere io che esprimo il messaggio. Se realmente il messaggio è il livello comune di questo cerchio, è meglio che io dica che parlammo, e quella volta parlammo di ciò che doveva essere la beneficenza.
Dicemmo che la beneficenza, perché fosse realmente tale, avrebbe dovuto essere il dono di qualcosa che non era superfluo, la beneficenza avrebbe dovuto essere tale nel momento in cui chi la faceva offriva qualcosa che gli apparteneva profondamente, e dopo averlo donato ne avrebbe sentito la mancanza.
Perché voglio parlare di beneficenza? Perché la beneficenza è fare del bene…fare del bene, se vogliamo avvicinarlo ancora un poco di più a noi, è anche amare, amare il prossimo, amare l’altro, amare colui che desideriamo incontrare; per cui, se veramente vogliamo a questa persona fare del bene, fare a lui beneficenza, amarlo, dobbiamo offrire a lui qualche cosa che ci appartiene e della quale sentiremo la mancanza.
Cerchiamo di misurare quest’affermazione in ognuno di noi e di misurarla per ciò che avviene in questo cerchio, in questo periodo, nella nostra ricerca.
Fare del bene, amare, vuol dire privarsi di qualcosa che sentiamo che profondamente ci appartiene e, nel momento in cui lo avremo donato, ne sentiremo la mancanza. Non sto parlando di beni materiali, non sto parlando di tempo, sto parlando anche di credo, di convinzioni, di intima e profonda fede. Per incontrare l’altro, per fare a lui beneficenza, per fare a lui del bene dobbiamo privarci di qualcosa che ci appartiene…di cui sentiremo la mancanza.
Ciò vuol dire che non l’avremo più e non potremo più rimpiazzarlo, non potremo cercare di colmare il vuoto che abbiamo creato attraverso il dono…la mancanza sarà lì, sarà presente, precisa, e se la sentiamo come privazione ne subiremo l’urto, ne subiremo il dispiacere, la privazione.
Ma se capiremo che attraverso questa privazione noi avremo amato qualcuno, riceveremo qualcosa in contrario, qualcosa di ben più grande di ciò che ci sta mancando in quel momento.
Per ciò che riguarda Emanuele, per ciò che mi riguarda, tutto ciò è molto chiaro, l’ho vissuto, l’ho misurato, ne ho preso coscienza, è passo assodato, è livello ben preciso.
Vorrei che pensaste a ciò che vi ho appena detto.
D. (N) Faccio fatica a comprendere quello che hai appena detto, perché se io offro amore, non può succedere che io resti senza amore, che io lo perda.
Esiste un’economia dell’energia…anche questa è una affermazione che io ho già più volte fatto.
L’energia acquisita, portata all’interno della bolla, ha una misura ben precisa e noi abbiamo misura di questa energia che crediamo di possedere, perché l’abbiamo racchiusa, ci appartiene, è nostra, ha il nostro nome.
Per poter attingere a quell’energia che non ha dimensione dobbiamo per forza privarci di qualcosa che ci appartiene ed avere coscienza di essercene privati. Può apparire come il valore più grande, può apparire come l’amore, può apparire – e non voglio essere provocatorio – come l’Amore Universale, incondizionato…ma così non è, nel momento in cui crediamo di esserne padroni, nel momento in cui riconosciamo di essere in grado di poterlo esprimere.
Credimi, non è possibile utilizzare, padroneggiare, esprimere ciò che è veramente l’amore. Possiamo solamente entrare nella sua dimensione, nel suo scorrere, ma per fare ciò dobbiamo alleggerirci offrendo ciò di cui siamo gelosi custodi: l’amore.
Anche tutto ciò è importante che possa decantare, trovare in voi riconoscenza, comprensione.
Vorrei passare un pochino oltre, e riguarda anche il modo in cui avviene la nostra ricerca in questo cerchio spiritico.
Molte volte ho criticato l’attesa del messaggio, molte volte ho affermato che il mio messaggio migliore sarà il mio silenzio, ed è vero, credetemi. Il disappunto maggiore che ho è la poca provocazione che il mio dire in questo cerchio.
Ho quasi un ruolo privilegiato, riconosciuto, assodato e indiscutibile e questo mi spaventa, questo mi limita, questo mi posiziona e mi impedisce di poter essere anello paritario. La cosa che provoca maggiormente voi è il pensare diverso dal vostro; avviene nella discussione, nella discussione a mente attiva, forte, accesa.
Nel momento in cui invece esiste un messaggio quale può essere il mio viene ascoltato, atteso, indiscusso: questo è un errore. Potrebbe essere una cosa buona se voi foste in grado di permettere a ognuno di voi la stessa possibilità che io ho.
Io credo che in ognuno di voi ci sia l’esigenza di esprimere un messaggio attraverso il quale poter svelare qual è l’intima essenza, quella prepotente forza che dentro di voi desidera essere riconosciuta, approvata, abbracciata. Potrebbe essere un modo nuovo per voi di lavorare, quello di permettere durante il cerchio, di esprimere la vostra presenza nel silenzio, nell’attenzione, nell’attesa, così come avviene per quella che è la mia presenza in questo cerchio. Potrebbe essere molto difficile ma potrebbe essere grimaldello che apre, potrebbe essere intuizione che sgorga.
Se noi crediamo nello spiritismo crediamo anche di essere mezzi, strumenti, medium e portatori di presenze all’interno di questo cerchio, siano esse la vostra intima, individuale, siano quello che è il bagaglio che accanto a voi ponete nel momento in cui vi accingete a creare il cerchio spiritico.
Non ha importanza, non ha nome…o può avere un nome che non abbia senso, se ciò ha da essere importante per voi…è un modo, uno strumento per acquisire sicurezza nell’espressione dell’intuizione. Ognuno di noi è in grado di intuire, di vedere, ma è presunzione grande credere che la possibilità di intuire, di vedere, appartenga individualmente ad ognuno di voi, delegando.
D. (N) Ma forse non è che vogliamo delegare, forse è più una condizione psicologica quasi di sottomissione, la nostra.
Cosa vuol dire tutto ciò? Cosa intende tutto ciò?
D. (N) Intendo dire che forse ci sentiamo leggermente inferiori nella nostra condizione, a quella che è invece la tua…
Quale possibilità hai di donarmi qualcosa che ti possa mancare, se non riconosci in te questa possibilità?
D. (N) No…io dicevo a livello di essere più attivi per quanto riguarda la conversazione con te, il discutere con te.
Temo questo mio ruolo e temo la difficoltà che può creare all’interno di questo cerchio. Vi dissi venerdì scorso, ma lo dissi anche nel messaggio precedente – o ci dicemmo venerdì scorso, ci dicemmo nel messaggio precedente - che molte volte si esprimono entità che non conosciamo nel momento in cui perdiamo il controllo, nell’attimo di stizza, quasi sempre inconsulto, che permette di far emergere dalla nebbia che stagna voci che riconosciamo e impariamo ad amare.
Perché ha da essere un gesto di stizza, un atto inconsulto e non un’espressione precisa del libero arbitrio?
Il timore io so qual è: è il giudizio, è l’immagine, è il timore di non essere più volti al sole.
D. (Fl) Ma forse non è neanche quello…non dico che tu non abbia ragione, però, su di me ad esempio, è ascoltare per riflettere prima di parlare…perché non sempre mi viene…
Credi che sia così indispensabile filtrare attraverso la mente? È il modo di censurare, è il modo di mitigare, è il modo di mascherare. Tutto quanto va pesato, classificato ed espresso per quello che è il suo peso specifico.
Non credo che abbia da essere questo, se tu veramente strumento, medium sei.
D. (Fl) No, è vero, hai ragione…solo che non ci ho pensato…


Provo sofferenza nel momento in cui le bolle cozzano…ed è ciò che avviene perché quando la bolla è satura, sia di espressione preziosa che di lezzo che ammorba, per forza di cose a dover esprimere, dire, parlare; a me non pesa più di tanto poter essere strumento, ma la fatica e lo spreco di energie non ha più senso.
Credo fermamente che esista un’economia, credo fermamente che non ha da essere sprecato nulla nel momento in cui si crede e si intuisce qual è il modo e la strada. Affermate con forza questo vostro credere nello strumento spiritico attraverso una presenza attiva e non attendete sempre e comunque gesti di stizza o atti inconsulti.
Credetemi, è molto chiaro qual è la provocazione che crea l’atto inconsulto: è nel momento in cui non ci si riconosce - ma anche questo io ve l’ho già detto – nel messaggio o il messaggio non dice ciò che mi aggrada. Allora permettiamo che qualcosa avvenga, subiamo. Non è più tempo.
Credo fortemente nella possibilità del libero arbitrio, credo nella qualità, purezza, bontà dell’essere cosciente, convinto, volente.
Cominciate ad accarezzare per poi afferrare ciò che vi sta attorno. Amare qualcuno, fare del bene, vuol dire cedere qualcosa che riconosciamo come nostro, di cui sentiremo la mancanza…offrendolo con gioia perché riceveremo qualcosa di ben più grande di ciò che abbiamo donato.
L’ho chiamato in tanti modi, ma fate in modo che il tesoro sia veramente rivelato e ne siate padroni e possiate gioire di esso.
Il rispetto, l’attenzione, l’ascolto per l’altro, ha da avere la stessa qualità e attenzione che avete per il dire mio. Dà fastidio per chi è permaloso….

La catena ora. Cerchiamo, chiamiamo a gran voce gli amici che riconosciamo tali, a cui vogliamo bene. Facciamo a loro spazio, portiamoli con noi nella nostra grotta, controlliamo che siano ben comodi, assisi accanto a noi…facciamo sentire a loro la nostra accoglienza, gioia di averli con noi.
Accogliamo la luce che cade dall’alto, facciamoci da essa illuminare, scaldare. Sentiamo che ogni rigidità cade a terra…sciocchi brandelli di quella bolla a cui abbiamo dato il nostro nome.
Sentiamoci leggeri ora, e attratti verso l’alto, riconoscenti della luce….

Scrutai con attenzione quello che era il limite tra la vita e la morte. Quando ebbi potere, la libertà e l’impunità di cercare come io credevo si dovesse, mi affacciai più volte a quello che io considero il momento più misterioso, affascinante.
Ebbi molte occasioni, ma quella che lasciò in me il segno più marcato, indelebile, fu quell’esperienza che mi portò in quel monastero di monache, dove era pratica esoterica, nascosta, la partecipazione, l’attenzione, la veglia su quello che era il passaggio tra la vita e la morte.
Ricordo ancora bene, lucidamente bene, quella torre dove le monache in procinto di morire venivano portate e assise su quegli scranni di contenimento. Il puzzo, il lezzo fu la prima cosa che mi disturbò, ma quella maschera piena di odori, di erbe, mi aiutò.
Tenni nascosta, profondamente celata e addirittura condannai, dopo avervi partecipato, chi praticava quell’oscura cerimonia di attesa vigile sulla soglia della morte. Erano otto quei corpi rigidi. Forse era l’effetto delle erbe che inalavo da quei sacchetti, da quelle maschere, ma qualcosa colsi…uno schiocco, quasi di spago che si spezza per la troppa trazione.
Mi ricordo bene che mi aggrappai a quello che sarebbe diventato rapidamente freddo cadavere per poter meglio ascoltare, per poter meglio vedere. Qualcosa colsi, qualcosa che io nominai pazzia.
Condannai con severità quelle monache, ma non per l’atto sacrilego, ma le condannai per il fatto che io non fui in grado di cogliere, partecipare, certificare…ebbi paura.
Non era vero ciò che affermava quella strega che il passaggio avviene dopo giorni, dopo che il corpo ha iniziato a centellinare i suoi umori, sfaldato….basta……basta….