venerdi sera gruppo di ricerca medianica e spiritismo

Quelli che sono morti non se ne sono mai andati sono nell’ombra che si rischiara e nell’ombra che si ispessisce I morti non sono sotto la terra sono nell’albero che stormisce, sono nel bosco che geme, sono nella dimora, sono nella folla Ascolta più spesso la voce del fuoco, odi la voce dell’acqua ascolta nel vento del cespuglio i singhiozzi è il soffio degli antenati I morti non sono sotto la terra, sono nel seno della donna. sono nel bimbo che vagisce sono nel fuoco che si spegne

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08 gennaio 2008

quattrogennaio 08


Ancora, adesso io Emanuele, per il cerchio, il cerchio spiritico.

Vorrei indugiare ancora un poco sulla preparazione alla morte, vorrei che fosse chiaro il mio pensiero affinché possiate veramente con esso confrontarvi, capire se nel mio pensiero esista bontà oppure buio.
La preparazione alla morte, così come la intendo io, non è certo indugiare sul pensiero della morte fisica, sul rimuginare su di esso, sul riproporre continuamente , quasi fosse una condanna che ci grava sulla testa, trattenuta da un esile spago…non è certo questo il mio pensiero e vorrei che fosse chiaro.
Ricordatevi che la morte fisica non è la reale morte dell’uomo terreno; si può morire, il nostro corpo può morire, ma la nostra mente, i nostri sentimenti, possono continuare prolungando la vita terrena.
Già altre volte vi abbiamo parlato delle tre componenti che competono all’uomo, all’essere incarnato, e sono la componente fisica, la componente mentale e la componente più difficile da definire, da denominare, che è quella che attiene alla sfera delle emozioni, dei sentimenti e, credetemi, non è sufficiente che l’uomo muoia, il fisico dell’uomo muoia, cessi di respirare, perché la mente continuerà a pensare, a ragionare, a proiettare anche aldilà del momento del trapasso fisico.
La morte la posticiperà, la porterà ancora e ancora lontano e quando la morte cesserà anch’essa di agire, la terza componente – che è sicuramente la parte con più difficoltà – cederà, ed è quella che è legata alla sfera delle emozioni e dei sentimenti.
Essere pronti alla morte vuol dire giungere al momento del trapasso con le tre componenti consce, coscientemente pronte alla propria morte, per poter arrivare alla trasfigurazione, come l’ho chiamata. La trasfigurazione non appartiene al momento, all’istante della morte terrena, torno a ripetere, e ne avete ben misura nel momento in cui evocate ed incontrate esseri defunti quali sono S., ma anch’io…non ancora pronto alla mia trasfigurazione, non ancora capace di riconoscermi negli abiti nuovi che mi competono oggi.
La preparazione alla morte, ripeto, è arrivare pronti al momento del trapasso, è arrivare consci , e, per usare una frase che già ben voi conoscete, è giungere al superamento cosciente dell’individualità, che già cercai di spiegarvi nel momento in cui parlavamo della trance, nel momento in cui vi parlavamo del collegamento, del tramite tra l’essere vivo incarnato e l’essere defunto, nel momento della comunicazione spiritica.
Ma questo abbandono cosciente dell’individualità è un termine, una frase che appartiene anche alla condizione del trapasso, della morte dell’uomo, dell’essere incarnato…e attraverso questo superamento cosciente dell’individualità la mente prenderà coscienza della morte del proprio corpo e accetterà lo spegnimento, in funzione di qualcosa d’altro che è il prosieguo, aldilà della soglia.
Con più difficoltà la terza componente abbandonerà il proprio ruolo…questo legato a un fatto soggettivo dell’essere che trapassa, ma anche del legame che ancora e ancora rimane solido, con le persone care che sono rimaste e che cercano in qualche modo di trattenere attraverso il pensiero, il bisogno, l’amore, l’odio, l’essere defunto.
Superamento cosciente dell’individualità.
È indubbiamente difficile tratteggiare e definire precisamente questa condizione e quando realmente l’abbandono, il cedere, diviene reale….ma preferisco parlare della definizione dell’individualità.
Cercai di dirvi che la preparazione alla morte è la realizzazione della vita, in fondo; tutta quanta la vita terrena dell’essere è in funzione della propria morte…è perché attraverso la vita si ha la possibilità di giungere alla realizzazione dell’individualità, alla realizzazione dell’obiettivo, della definizione precisa che l’essere si è dato.
Io credo che sia questo il momento che appartiene a voi, oggi. E io sono vostro interlocutore in questo momento perché anche io sto vivendo questa definizione per ciò che riguarda Emanuele: raggiungere l’obiettivo, la realizzazione precisa dell’essere, dell’individuo.
Innanzitutto bisogna arrivare a definire qual è l’obiettivo, la missione, la realizzazione; è possibile, è facile nel momento in cui a questa realizzazione si legano tutte e tre le componenti dell’uomo.
Quando vi parlavo di fughe in avanti, di sdoppiamento dell’azione, è proprio questo: il perdere tempo attraverso modelli che non appartengono al vostro preciso essere è facile; subire l’abbaglio di esperienze che parallele a noi si svolgono…ma non è questo che ci porta ad essere attenti e precisi sulla realizzazione del proprio essere individuale, sul proprio disegno.
La prima fase è sicuramente quella di capire ciò che ognuno di noi è e quale modo ci porterà a raggiungere questa definizione dell’essere.
È sicuramente il vostro momento, non vi è dubbio; è su di esso che è importante che cerchiate di raggiungere la definizione dell’essere, dell’individuo, per poterlo poi abbandonare nel momento della morte. Io credo per ciò che mi compete, perché non debbo parlare di voi; usurperei in qualche modo. Quando parlo di Emanuele so per certo di aver intravisto ciò che Emanuele è, credo anche quasi completamente di averlo raggiunto e di riconoscermi nell’immagine che facilmente vedo oggi di Emanuele…ma non è sufficiente.
Se per un essere incarnato gli strumenti sono rapidi, attivi, concreti, per me che non so più utilizzare il mio corpo e la possibilità di incontro – se non attraverso l’evocazione in un cerchio spiritico – il tempo si dilata, la difficoltà si assomma e attraverso l’incontro, in momenti così particolari quali sono i cerchi spiritici, io posso progredire per poter coscientemente abbandonare ciò che ho trovato.
Credo che il mio libero arbitrio abbia già con forza affermato il mio desiderio, ma devo trovare a chi affidare Emanuele; la trasfigurazione è un’immagine che appartiene anche ai libri che furono per me strumento e traccia, istruzione.
La trasfigurazione appartiene a tutti quanti gli uomini e io desidero, agogno il raggiungimento di essa, sono pronto. Dovrò essere in grado di condividere con voi questo mio essere pronto, sentire che il mio pensiero lasci traccia, grani di consapevolezza, con voi che mi accogliete in questo cerchio.
Invidio la possibilità dell’essere incarnato, ma non perché io desideri tornare a ciò che ero e che fui, ma per poter più facilmente seguire la traccia che non mi dà scampo.
Riguardo all’abbandono della terza componente, vi dissi che anche l’attenzione, il ricordo, il bisogno dei cari che sono rimasti in vita, sono freno all’abbandono, al cedere…è l’immagine di chi con difficoltà si priva della presenza dell’essere amato – sia esso un corpo defunto o delle polveri –
e cerca di trattenerlo cercando di disperderne il meno possibile, credendo, sperando di trattenere con sé la persona amata.

Cerchiamo ora il corpo comune.
Uniamo la catena, cerchiamo gli amici che con noi la compongono, sentiamo l’energia che circola in questa catena, che la rende forte, solidale, protetta. Accendiamo la candela al centro dello stagno, sia essa punto di riferimento del nostro essere assieme, del nostro essere disponibili, del nostro essere cassa di risonanza.

È mai possibile che si riesca sempre a trovare giustificazioni,scappatoie, quando qualcuno ti chiede qualche cosa…e allora, senza quasi neanche guardarlo negli occhi,abbassi lo sguardo e trovi le frasi di circostanza che ben conosci perché – fin da quando eri bambino ti hanno insegnato – l’importante è passare oltre, credendo comunque di aver dato attenzione, disponibilità. È un’arte per qualcuno.
È vero…io sono morto…ma cosa ci faccio ancora qui? Io, per essere ancora, per esserci, ho bisogno di riconoscermi, essere certo di essere S.
Ho perfino pensato che fosse la malattia che portava a questa incoscienza sensoriale, a questa incapacità di vedere, di agire. Io voglio morire, se non posso più essere S., e io so chi è S.
Non sono nella schiera dei buoni che si salvano…pertanto aiutatemi a stordirmi e a cessare questo stillicidio. Ditemi cosa devo fare…e io docile…lo farò.

D. (N) Devi rompere i tuoi pregiudizi.
Ma se a nulla servono qui, dove mi trovo oggi..
D. (N) Staccati da quelli.
Voglio morire.
D. (N) Sei già morto…
Non voglio più sentirvi, allora.
D. (N) Sei libero di fare ciò che credi.
Vorrei capire…
D. (N) Ma sei testardo…
Cosa cercate ancora…
D. (N) Noi non cerchiamo nulla, sei tu che devi convincerti a cercare…
Sono tutte sciocchezze, le vostre!
D. (Fl) Forse hai ragione, saranno tutte sciocchezze, ma io ho avuto l’amica C. che mi ha aiutato a capire molte cose…
E allora? Non può bastare questa affermazione.
D. (Fl) C. ha vissuto la sua malattia e mi ha fatto capire…
E io? Non me ne frega nulla di C….. Io debbo qualcosa solo a S., non ho dubbi su questo. Perché mai io avrò qualcuno che non voglia nulla da me, che non cerchi nulla….
D. (N) Noi non vogliamo nulla da te.
D. (Fl) però anche tu, S., mi stai aiutando come mi ha aiutato C. , a capire che bisogna…capire…
Io non sono uno dei buoni.
D. (Fl) L’unica cosa che posso dirti è di lasciarti amare da noi, per quello che sappiamo darti.
Non voglio essere così.