venerdi sera gruppo di ricerca medianica e spiritismo

Quelli che sono morti non se ne sono mai andati sono nell’ombra che si rischiara e nell’ombra che si ispessisce I morti non sono sotto la terra sono nell’albero che stormisce, sono nel bosco che geme, sono nella dimora, sono nella folla Ascolta più spesso la voce del fuoco, odi la voce dell’acqua ascolta nel vento del cespuglio i singhiozzi è il soffio degli antenati I morti non sono sotto la terra, sono nel seno della donna. sono nel bimbo che vagisce sono nel fuoco che si spegne

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27 settembre 2007

ventunosettembre 07


Ancora, adesso io, Emanuele, per il cerchio, il cerchio spiritico.

Venerdì scorso iniziai il nostro incontro cercando di spiegarvi quale fosse la difficoltà maggiore che io incontro nell’essere qui con voi, facente parte di questo corpo comune, cerchio spiritico, e vi dissi che la difficoltà maggiore per me era quella di spiegarmi, qualificarmi in funzione dell’accettazione, di quella quieta accettazione – “quieta” è un termine che uso abbastanza spesso perché dà misura, dà davvero senso di quella che deve essere l’accettazione – ho bisogno ancora di essere qualificato, di essere riconosciuto come capace.
E’ bastato uno scossone perché abbiate avuto bisogno – qualcuno di voi abbia avuto bisogno – di sostenersi, aggrapparsi, cercare qualcosa di solido su cui fare affidamento.
Eppure, se di quieta e tranquilla sicurezza stiamo parlando, non ci dovrebbe essere stato bisogno di andare a cercare di armarsi, di attrezzarsi, di chiedere aiuto, supporto.
La catena è protetta, non solamente il corpo comune è protetto, la catena è protetta, è forte e di questa tranquillità quieta dovete armarvi, non di altro… non di forza, di energia, di scudi, di armi. A nulla servono se non ad appesantire ulteriormente, gravare ulteriormente quello che è il filtro, attraverso il vostro essere desto, il vostro essere originale profondo, intimo.
Cercate davvero quieta tranquillità, quieta sicurezza della protezione di questo cerchio, perché così è… e io sono in grado di garantirla, per voi e anche per me.
Ho poi cercato di spiegarvi quale fu il mio smarrimento, ho usato due immagini precise: la prima era quella del libro caduto ai miei piedi. Il libro, per me, è sempre stato fonte inesauribile di risposte, era davvero quel supporto al quale appoggiarmi in qualsiasi momento, mai disequilibri se io avevo il libro in grembo. Il fatto di vederlo caduto, là a terra, fu per me un segno molto forte, definitivo.
L’altra immagine era quella dei miei piedi nudi su un terreno rigido, freddo. Ho sempre amato calzari comodi, ho sempre amato calzari che mi permettessero, salvaguardando l’immagine del mio Ordine dei piedi scalzi, ho sempre amato calzari che vestissero il mio piede scalzo di calore, protezione, comodità… ma al mio risveglio mi trovavo con i piedi nudi su un terreno freddo quale era quello di quella nostra chiesa, un terreno di pietra che portava via calore, succhiava da me energia facendo vibrare il mio corpo, tremare da brividi.
Divennero poi piacevoli questi brividi, risalivano – partendo dai miei piedi – lungo la mia spina dorsale fino al mio capo, lungo il mio collo. Questi brividi avevano la capacità di far vibrare il mio corpo… da quel momento io ho cercato ancora situazioni che mi permettessero di rivivere quelle sensazioni fisiche che i brividi di freddo mi davano. Sembra sciocco ciò che sto dicendo, ma era un immagine fisica che apparteneva al mio corpo, fu una scoperta per me.
Comunque, di primo acchito, i miei piedi su quel terreno rigido e freddo mi davano un senso di ostilità, di rigidezza.
Queste sono le due immagini che più precisamente danno l’aspetto esteriore del mio smarrimento. Riuscire ad illustrare, a dipingere ciò che fu il mio smarrimento interiore è molto più difficile, credo che a fatica riuscirò a condividere ciò che accadde dentro di me. Ma la trasformazione che il mio corpo subì dopo questo smarrimento, questa scossa, fu di vedere i miei piedi che affondavano in un pavimento di sabbia calda che avvolgeva, riscaldava, massaggiava…e una luce che dall’alto riscaldava il mio corpo, e fu per me riconoscenza questo mio corpo…al di là di ciò che erano gli abiti, la veste che io indossavo.
Non cercai di raccogliere il libro caduto, non ne avevo più bisogno. Le mie risposte, il mio pormi al confronto con gli altri, da quel momento non ebbe più bisogno di righe scritte, di concetti che qualcun altro aveva vergato su un pezzo di carta, ma le reazioni, le risposte di primo acchito trovavano modulazione…Emanuele reagiva di fronte al confronto con gli altri non più con sentenze, ricette, ma con una comprensione diversa, che era più ricca di silenzi, che di parole pronunciate.

Cosa avvenne fra questi due momenti? Torno a ripetere, sarà difficile che io riesca a condividere con voi, ma vorrei tanto potervelo donare.
Di certo è attraverso lo smarrimento che potrete raggiungere quella seconda condizione di cui vi ho parlato e, come già vi ho detto venerdì, non è augurabile, non è buon auspicio che io vi offra aiuto per arrivare allo smarrimento…ma solamente in questo modo potremmo creare quelle condizioni che tanto hanno aiutato Emanuele. La consapevolezza che colsi in quegli attimi, in quella grotta che divenne la chiesa nella quale mi ero smarrito, non è stata completamente salda; credetemi, nel momento in cui intravedrete ciò che è la vostra essenza, questo non porterà ad un cambiamento radicale e definitivo del vostro essere, del vostro vivere quotidiano. Così non deve essere, non lo sarà.
Anche per Emanuele accadde questo, già ve lo dissi: subii un processo e in questo processo ancora andai a cercare il nome di mio padre e di mia madre, fuggii sotto le gonne di mia madre per potermi proteggere da quella che mi veniva prospettata quale morte…ancora scappai, fuggi, mi ritrassi, ancora bestemmiai, ancora rinnegai ciò che avevo trovato…ma così deve essere; finche avverrà lo scorrere del vostro vivere in questo modo sarà.
Ma non bisogna temere che ciò avvenga perché ciò – attraverso il suo avvenire – rinsalderà, darà maggior consistenza, forza, spessore a quella che è la fiducia, la quieta certezza di ciò che è il vostro divenire.
Quando vi dico che Emanuele vive, dico una cosa reale, vera, perché se anche sono morto, io ancora divengo e tendo a qualcosa che ancora è lontano da me, qualcosa che ancora completamente non mi appartiene, ma della quale ho fiducia certa perché ne ho avuto dimensione, traccia, visione.
Emanuele ritrovato, vi dissi, perché Emanuele c’è sempre stato, così come in ognuno di voi esiste un’entità ben precisa e definita.
Il lavoro, la ricerca, non porta altro che a ritrovare ciò che già era e ancora in questa ricerca c’è ma non è realmente cosciente, manifesto, agente. Questo disgelare lentamente può dare gioia, piacere, felicità…questo è vivere, è lo scorrere del nostro divenire…e se in grado saremo di dare senso, immagine, qualità, bontà a questo scorrere nel tempo e nello spazio, noi avremo la serenità del vivere, quella che qualcuno di voi dice di cercare e verso la quale tende. E non si raggiunge – credetemi – questa serenità al momento, al culmine massimo del nostro vivere, ma è proprio nello scorrere di questo vivere che noi saremo in grado di cogliere questo piacere e godere della serenità che lo svelare dell’essere può portare.
Si cerca sempre di tendere e questo è un errore che in molti facciamo – e anch’io credo di fare – abbiamo sempre la tendenza di portare lontano dal momento contingente il punto di arrivo, ma il punto di arrivo non esiste; è proprio nel cammino che si è in grado di cogliere, di godere – sì, ancora dico questo termine – di godere della serenità, che non è altro che il termine che vuole spiegare quell’armonia che avviene nel divenire.
Se noi saremo in grado di accompagnare il nostro vivere con la consapevolezza che fino a quel punto si è raggiunta, avremo raggiunto quell’armonia che ci permetterà di camminare, di proseguire carichi di doni… ciò che dico per me è certo, è assodato, è punto fermo; ciò non vuol dire che sia realmente per me testimoniato, vissuto, ma ne ho la quieta certezza che ciò sia. E’ la fede…quel termine che molti disturba, ma traducetelo con “ quieta certezza” se questo vi dà maggior soddisfazione.

Questa sera non faremo il corpo comune, se non una concentrazione alla fine di questo mio discorso, perché credo che sia meglio così…ma voglio dire ancora alcune cose in merito a quello che è il lavoro spiritico e le presenze, le voci che vengono evocate in questo cerchio. Hanno una funzione ben precisa, hanno la funzione di creare coagulo, creare comune attenzione.
Potremmo utilizzare l’immagine del mandala in fondo, quella che porta a cercare di cogliere, a definire con sempre maggior precisione quelli che sono i dettagli periferici per un cammino che – concentrico – ci porta là in quel centro dove nulla è definito, se non una macchia informe, scura, che ci proietta al di là e al di fuori di quel drappo che viene utilizzato.
Immaginate le presenze di chi ci viene a trovare in questo senso, lasciatevi chiamare, attirare da queste voci, caricatele dentro di voi e, con tranquilla, ancora quieta certezza, lasciatevi accompagnare da esse…vi porteranno là dove perdersi è facile, dove smarrirsi è possibile.
Sarete soli in questo smarrimento, ci tengo a dirlo, e se ne avrete le avvisaglie non cercate qualcuno che vi dia la mano, che vi possa accompagnare…sarebbe ritornare nuovamente fuori, sarebbe ancora armarsi, attrezzarsi e cercare nell’altro ciò che ti manca, ma è proprio questa mancanza che crea le condizioni…
So che è una condizione da non augurare, ma io lo faccio nella convinzione, nella certezza che sia la cosa giusta.

Cerchiamo la catena ora; questa sera sarà una catena per noi e per tutti gli amici che noi ci sentiamo di portare in questa catena. Cerchiamo i nostri cari, coloro che amiamo e dai quali ci sentiamo amati, pronunciamone il nome, cerchiamone il viso, quei tratti che ce li ricordano, che ci aiutano a riportarli con noi.
Facciamo a loro spazio, permettiamo loro un facile, comodo sedersi; sentiamo la loro presenza in questa catena, è una catena grande, ricca, protetta.
Al centro della catena c’è una candela: poniamo in quella luce i nostri bisogni, le nostre aspettative, facciamo che essi possano alimentarla, renderla forte, luminosa, calda.
Sentiamo l’energia che scorre in questa catena e riconosciamo in questa energia la presenza di tutti quanti sono qui con noi. Lasciamoci da essa colmare finche, sazi, possiamo offrirla all’amico che accanto a noi si trova…..

Visualizziamo nuovamente la catena, ringraziamo gli amici che sono stati con noi…grati….


E’ tempo, è tempo per me ora di terminare.
A voi tutti il mio saluto, arrivederci.