venerdi sera gruppo di ricerca medianica e spiritismo

Quelli che sono morti non se ne sono mai andati sono nell’ombra che si rischiara e nell’ombra che si ispessisce I morti non sono sotto la terra sono nell’albero che stormisce, sono nel bosco che geme, sono nella dimora, sono nella folla Ascolta più spesso la voce del fuoco, odi la voce dell’acqua ascolta nel vento del cespuglio i singhiozzi è il soffio degli antenati I morti non sono sotto la terra, sono nel seno della donna. sono nel bimbo che vagisce sono nel fuoco che si spegne

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04 novembre 2015

treottobre 2015

Parlare di morte è quasi cercare di frantumare un tabù; parlare di morte è buio, lugubre, terribile... ma quanto non è vero! In fondo, credere che la morte sia il passaggio, la nascita, la mutazione alla nuova che non è altro che ciò che fu la vera essenza dell'essere... credetemi, è molto più traumatico passare da quello che io sono nella verità precisa e immutabile della mia essenza di oggi a quella che è quella macchina, costretta continuamente ad alimentarsi affinchè possa mantenersi viva. Il primo respiro è un urlo, la fatica di andare a cercare l'energia che ti permetta di poter essere vivo; la fatica di mantenere quel ritmo che spinge ed alimenta di energia in quel corpo che cresce, per poi non altro che affermare la verità della non vita. Il termine di quella che è l'esperienza dell'uomo non è altro che il compimento, l'affermazione della verità dell'Essere Unico; dovrebbe essere un passaggio lieto, un passaggio maturo, gioioso, tale da essere chiamato nascita, ma così non è per l'uomo, in modo particolare dall'uomo che è incapace di avere visione, pertanto si aggrappa a quella che è l'unica verità tangibile, toccabile, misurabile che è la vita. Attraverso il regolare respiro, l'alimento che sorregge e che null'altro ha che questo, non può che affannarsi e soffrire in quel passaggio che a nulla di diverso può portare. Qualcuno disse che dovremmo, che gli uomini dovrebbero morire ogni giorno a sé stessi, per dichiarare, proprio per pregare, affermando la visione. Tutto diverrà dolce, tutto diverrà non più compresso, limitato, rinchiuso. La necessità del dolore, la giustificazione della malattia, lo sgravare da sé stessi la responsabilità del passaggio; è una droga sottile il credere di poter, attraverso il vivere, dominare ciò che l'uomo è e può fare... droga sottile di credere di poter............................................................................................. Vorrei che provassimo ad essere in quello stagno, voi con me, senza il bisogno di dover vedere, udire o capire, ma semplicemente essere e, attraverso l'essere, percepire ciò che è vero. Immergiamoci in quell'acqua, siete voi che vi muovete verso essa... io già là mi trovo; siete voi che vi muovete e permettete all'acqua di ricoprire il vostro corpo. È un corpo che si predispone, si appoggia, cede, diviene inutile e incapace, non necessario. L'acqua su di voi è un dolce peso che ha lo scopo di mantenere premuto e protetto il vostro corpo... nulla può accadere. È un luogo dove non c'è luce, nessun rumore si ode, il vostro respiro rallenta, i vostri pensieri scemano. Per percepire presenza non è necessario immaginarla, concretizzarla, renderla viva. Qualcosa avviene.... è l'espirazione che porta fuori, è indispensabile togliersi quell'abito.................... È un vaso colmo d'acqua nel quale continuamente cade dell'altra acqua, rimescola e si contorce, ma sempre tale rimane, è il vaso che la increspa, è il vaso che la costringe... da dove arriva, dove se ne va?