venerdi sera gruppo di ricerca medianica e spiritismo

Quelli che sono morti non se ne sono mai andati sono nell’ombra che si rischiara e nell’ombra che si ispessisce I morti non sono sotto la terra sono nell’albero che stormisce, sono nel bosco che geme, sono nella dimora, sono nella folla Ascolta più spesso la voce del fuoco, odi la voce dell’acqua ascolta nel vento del cespuglio i singhiozzi è il soffio degli antenati I morti non sono sotto la terra, sono nel seno della donna. sono nel bimbo che vagisce sono nel fuoco che si spegne

Nome:

20 marzo 2009

tredicimarzo 09

Il mio nome era S. e ancora oggi S. io mi chiamo.
Questo mio presentarmi a voi ha per me un senso molto forte, un significato indispensabile.
Questo ribadire il mio nome mi aiuta a presentare ciò che io sono qui, ancora…che se in qualche modo ho mutato la mia veste esteriore ma per forza di cose sono morto, ciò che sono, sono certo che è ciò che era S.
Non ho mutato il mio modo di pensare, il mio modo di pormi, ancora oggi S. sono. Il tempo passato, l’incoscienza come la chiamo io, mi ha per forza di cose convinto che non avendo altri riferimenti, mi ha convinto e ha ribadito il concetto che siete voi il tramite.
Attraverso ciò che avviene, attraverso l’azione, attraverso lo sforzo, la ricerca e io, che oggi solo posso accettare e prendere coscienza di ciò che avviene in una dimensione alla quale più non appartengo. Io sono convinto che nel mio stato difficilmente possa cambiare qualche cosa; io desidero solo che ciò che mi sostiene appeso possa cedere e io cascare affinché io possa finalmente morire. Questa è la mia aspettativa più grande. Certo, porto con me anche ciò che è il vostro pensare, il vostro testimoniare in questo cerchio e questo confrontarmi con voi mi porta ad aprire scenari che non riconosco come miei…quantomeno non come miei a livello cosciente. Se mi appartengono lo sono allo stato …non capisco bene in quale modo, sono latenti, larvali…non so se possa avvenire una maturazione, una crescita, uno sviluppo.
Il confronto mi costringe a farmi carico di ciò che è il vostro pensiero, la vostra direzione, non può che essere così…ma ciò che voglio ribadire, affermare con forza, è che ancora non ho abiurato ciò che era S. e ciò che S. ancora oggi è.
D (Fr) S., cosa cerchi nella morte?
Che tutto finisca, cerco la possibilità di non attendere più nulla, cerco di colmare il vuoto che sento attorno a me.
Portiamo ancora qualche traccia del nostro incontro, quando ero malato tra di voi. Più di una volta ho ripetuto che la mia aspettativa nei vostri confronti non era riguardo a quello che era il cerchio, a quella che era la cerimonia, a quello che era il rito. La mia attesa riguardava qualcuno solamente di voi. Ho sempre considerato l’incontro con l’altro come un incontro tra due persone. Nel momento in cui si apriva a figure di contorno, tutto quanto veniva ad essere intralciato, non poteva più avvenire con la verità, schiettezza, che io ho sempre considerato quale modello per il rapporto in confronto con l’altro; pertanto sempre ho cercato di rifuggire quelle che erano le cerimonie, i riti, i gruppi. La mia aspettativa era riguardo a qualcuno di voi…la mia aspettativa non era riguardo al gruppo, a quello che voi chiamate cerchio, perché non lo riconoscevo, non lo consideravo importante, necessario…ma mi sono anche accorto che chi di voi poteva donarmi qualche cosa, attraverso i paramenti limitava la sua possibilità, non solo la limitava ma la negava anche, affidando la possibilità a quello che era il gruppo, il cerchio e non all’espressione individuale, alla disponibilità, all’attenzione che io richiedevo.
Ancora oggi sento che è così…ma sento che ancora oggi voi riproponete questa possibilità attraverso la forza della convinzione, di ciò che voi ritenete prezioso. È per quello che io mi pongo al centro di questo cerchio anche se non lo riconosco; però ho bisogno di afferrarmi alla possibilità che mi viene posta, se altre non ce ne sono.
Credo che il confronto individuale sia quello che possa veramente donare qualche cosa. La possibilità di coinvolgere, di mascherare, di mischiare, affidando al ruolo di un altro….quale impedimento alla possibilità!
Più di una volta ho cercato di ribadire il concetto che la mia attesa riguardava solamente qualcuno di voi; il mio intendimento, il mio desiderio in fondo era la provocazione, affinché potesse, inconsulta, sgorgare un’azione nei miei confronti, ma ripeto, non c’è più urgenza, sono diventato paziente…non so quanto ciò possa essere da voi ritenuto come buona cosa.

Non credo sia indispensabile che io faccia professione di fede per poter ricevere qualche cosa da voi, perché se ciò mi è chiesto io so che non darò questa disponibilità, perché sarebbe in qualche modo non chiamarmi più S. e sarebbe rinunciare a ciò che io ho costruito, alimentato….

Della confessione vorrei questa sera parlare…e di ciò che è divenuta attraverso la manipolazione dei preti.
La confessione ai fratelli era pratica comune, normale, riconosciuta in molte religioni, prima che i preti decidessero di asservirla ai propri individuali scopi.
Io credo che la pratica della confessione – preparata dall’esame di coscienza – fatta ai fratelli sia strumento molto capace per affermare la ricerca innanzitutto e, riconosciutala tale, la visione che la confessione può portare dell’essenza individuale di ogni uomo…ma se fosse rimasta ciò che alle origini era, la confessione ai fratelli, e non costretta, veicolata attraverso la delazione al ministro.
È stata una grande offesa a ciò che era uno degli strumenti preziosi di ricerca, creando per la persona che cercava, il giogo che la costringeva a tenere il capo basso di fronte a quello che avrebbe dovuto riconoscere come l’unico e vero mezzo, medium, tra lui e il Divino.
È un’offesa grande, torno a dire, è una bestemmia. In questo modo la gerarchia ha inteso opprimere e costringere colui che in verità cercava, a subire la medianità di colui che la gerarchia riconosceva come ministro unico, abile e capace di poter essere mezzo, attraverso l’uomo e il Divino.
La confessione ai fratelli è strumento prezioso se non costretto, non veicolato, non asservito a quelle pratiche che – bestemmiando – qualcuno ha chiamato sacramento. Questa è l’immagine, è la traccia per comprendere quanto possa essere perverso il disegno di coloro che si assurgono…
Essere costretti a passare attraverso un sentiero tracciato da altri e custodito, vegliato attraverso il giudizio di coloro che si pongono su piedestalli costruiti ad arte. È una bestemmia,torno a ripetere, è malvagità.
Sono ben certo anche che l’esame di coscienza non potesse bastare affinché la ricerca potesse esprimere traccia del Divino che è in noi, ma doveva passare attraverso lo svelare di ciò che la visione dell’esame di coscienza poteva portare a galla, far emergere; è perciò che sono convinto che la confessione ai fratelli sia per forza di cose compendio alla ricerca dell’esame di coscienza.
Siano puniti coloro che hanno desiderato porsi in condizione di costringere colui che cerca a chinare il capo, a cedere possibilità di medianità solamente a colui che è stato abilitato attraverso la nomina.
Condanno chi discrimina, condanno chi giudica, condanno chi impedisce.