venerdi sera gruppo di ricerca medianica e spiritismo

Quelli che sono morti non se ne sono mai andati sono nell’ombra che si rischiara e nell’ombra che si ispessisce I morti non sono sotto la terra sono nell’albero che stormisce, sono nel bosco che geme, sono nella dimora, sono nella folla Ascolta più spesso la voce del fuoco, odi la voce dell’acqua ascolta nel vento del cespuglio i singhiozzi è il soffio degli antenati I morti non sono sotto la terra, sono nel seno della donna. sono nel bimbo che vagisce sono nel fuoco che si spegne

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30 agosto 2007

ventiquattroagosto 07


Ancora, adesso io Emanuele, per il cerchio, il cerchio spiritico.

Vi ho parlato dei punti nodali dell’essere, dell’entità, dell’uomo.
Vorrei cercare di chiarire meglio questo mio concetto affinché possiate comprendere. Io vorrei utilizzare, così come potrebbe essere il linguaggio del bimbo, un’immagine concreta, legata al gioco.
Cerco di visualizzare l’essere come una struttura che sale verso l’alto, una struttura costruita con mattoni, con piccoli mattoncini che vanno a posare sopra una superficie solida, compatta.
Questa superficie solida e compatta è il nostro passato, immutabile, concreto, definito, stabile. Su di esso abbiamo costruito delle colonne, dei pilastri che vanno a sorreggere un tetto.
Noi ci troviamo in questo spazio al di sotto di questo tetto, al di sopra di questa piattaforma che è il nostro passato e al di sotto di questo tetto che è il nostro futuro. Questo tetto è sorretto da delle colonne, dei pilastri, vi ho detto. Sono proprio questi i punti nodali; sono pilastri che noi, appoggiandoci su quella che è stata la nostra esperienza vissuta, sul nostro passato, abbiamo costruito elevandoli verso l’alto con precisione, perché sappiamo bene che ogni mattoncino doveva essere posto sull’altro precisamente, affinché non si creassero disequilibri.
Ogni mattoncino uguale all’altro, quasi fossero i mattoncini che si incastravano per poter salire, e bisognava scegliere mattoncini quello superiore identico a quello che si trovava sotto, affinché la colonna fosse anche piacevole da vedere, slanciata verso l’alto, anche perché doveva sorreggere una piattaforma così importante, pesante, che era il nostro futuro, ciò che ci aspettava.
Noi, per qualsiasi età abbiamo, ci troviamo comunque in questo spazio tra la piattaforma stabile e solida che è il nostro passato, e quello che è il soffitto che rimane sempre e comunque al di sopra di noi. Il nostro spazio è tra queste due superfici, ma ciò l’abbiamo deciso noi perché ci era comodo farlo, non perché realmente esiste; è una incastellatura, una costruzione, uno sforzo di equilibrio a volte talmente assurdo che però logora, consuma, impedisce…però ci permette di impegnare quelle che sono le nostre energie in un esercizio che noi crediamo sia giusto perché ben l’abbiamo strutturato e questa struttura è proprio quella che ci permette di essere riconoscibili, accettati innanzitutto a noi stessi e di conseguenza poi agli altri perché crediamo, a volte fallendo in questo nostro credere, che ciò che noi accettiamo di conseguenza anche dagli altri verrà con un giudizio benevolo riconosciuto. Ma così non è.
E’ una struttura che davvero logora, però ha la qualità di impegnare quelle che sono le nostre energie che per ignoranza, impreparazione, noi non siamo ancora pronti ad indirizzare, a sfruttare al meglio. E allora manteniamo questa struttura così..così solida alla vista, ma macchinosa e inutile.
Andiamo a sorreggere quello che è il nostro futuro, che proprio perché è il nostro futuro, continua ad allontanarsi da noi, rimane comunque e sempre al di sopra di quella che è la nostra situazione dell’oggi.
E’ il futuro, non ci appartiene ancora, non siamo neanche noi ma è qualcosa di… sconosciuto, e non è neanche importante arrivare a conoscerlo..è sufficiente che noi lo sorreggiamo al di sopra della nostra testa; crediamo perfino di poter essere da esso schiacciati, schiacciati su quella che è la piattaforma del nostro passato.
A volte questo spazio tra ciò che è il passato e il futuro diviene così angusto…a volte invece si dilata verso l’alto e sono proprio queste colonne, questi pilastri, che permettono questo movimento e noi crediamo – in questo spazio fisico – di avere dolore, sofferenza, ovvero gioia e felicità.
Palliativi incomprensibili.
Se tutto ciò venisse visto dal di fuori, da un punto staccato prospiciente a questa costruzione, a questa impalcatura e ai pilastri che sorreggono, danno vita, forma a questa impalcatura, a queste due piattaforme una sull’altra sospese, appoggiate una all’altra attraverso questi pilastri che sono proprio i punti nodali.
Questi punti nodali noi li abbiamo costruiti con attenzione - vi ho detto – mattone su mattone, e l’importanza era di far sì che ogni pilastro salisse in sintonia con gli altri, perché se uno saliva più che l’altro, avrebbe inclinato quella piattaforma che va a sorreggere il futuro, facendo cascare la consistenza del futuro stesso ( che poi non capisco come possa essere ), quasi fosse una cosa, un oggetto, una consistenza.
Vi ho detto, non sprechiamo tempo, energia a sorreggere questa piattaforma…ma al di sopra di noi.
Portarsi al di fuori di questa struttura ci permette di dare immagine a tutto ciò di cui vi ho parlato finora. Io vorrei tanto che attraverso il nostro essere assieme ognuno di noi potesse essere in grado di porsi al di fuori e, ponendosi al di fuori, vedere ciò che è la sua struttura, prenderne coscienza, darne reale dimensione. E’ possibile attraverso il gioco, è possibile attraverso il corpo comune, ma il timore è grande, il timore che togliendo spessore e dimensione a questi pilastri possa cascare ciò che si trova sopra la nostra testa.
Ma non potrà avvenire tutto ciò perché comunque il nostro futuro già ci appartiene, la traccia è dentro di noi ed è un futuro che non ha svolgersi, è un futuro che è reale, in questo momento, qui e ora; non ha da divenire, già ci appartiene, già agisce dentro di noi, già condiziona il nostro vivere.
Ma questo ancora non l’abbiamo compreso e anch’io con voi non l’ho ancora compreso, tant’è vero che sono qui a sorreggere i miei pilastri. Però questo mi permette di vedere – se voi me lo permettete – ciò che voi siete.
Affrontare i punti nodali del nostro essere è cercare di…innanzitutto riconoscere questi pilastri che noi ci affanniamo a mantenere ritti. Il passaggio successivo è poi cercare di disgregarli, affinché ciò che noi abbiamo posto al di sopra e al di fuori di noi possa appartenerci; e il timore dell’ignoto, dello sconosciuto che abbiamo posto al di sopra di quel tetto, il nostro futuro, ci torni ad appartenere. Non perché verremmo ad averne traccia, conoscenza, svolgersi – perché traccia, conoscenza, svolgersi non esiste – ma noi perderemo il timore che il nostro futuro abbia uno svolgersi, noi perderemo il timore e l’angoscia che il nostro futuro si allontani da ciò che noi siamo.
Noi non lo possiamo riconoscere, noi non lo possiamo guidare, indirizzare, gestire.
Ma ciò non va fatto, è impossibile, è cieco. Il nostro futuro è qui, ora, dentro di noi, e deve essere nella stessa dimensione che è la nostra, deve essere nel nostro vivere di ogni giorno.
Fino a che teniamo il nostro passato al di sotto dei nostri piedi e il nostro futuro al di sopra della nostra testa, il nostro agire è tra questi due spessori, noi soffriremo, noi non avremo senso, noi non daremo senso al nostro vivere.
Definire i pilastri per poterli riconoscere, misurare, pesare e, dopo averlo fatto, poterli tranquillamente e coscientemente radere al suolo. Attraverso il corpo comune, attraverso il gioco, dovreste essere in grado – se lo desiderate veramente – di potervi porre al di fuori di voi e osservare ciò che voi apparite. Non ciò che voi siete, perché è impossibile riuscire a vedere ciò che si è, essendo colui che guarda, ma arrivare a questa coscienza ha molto tempo da venire.
Iniziamo a credere di poter osservare, o arrivare a credere che qualcuno dei nostri compagni in questo cerchio possa poter osservare ciò che è la struttura che noi abbiamo organizzato, eretto…e fare questo attraverso il gioco. E’ l’inizio.
Certo, la domanda è spontanea, è chiara, è ovvia: quali sono questi pilastri? Cosa sono?
Sono chiaramente l’espressione del nostro vissuto, di ciò che stato dato, il bagaglio – che a volte è anche zavorra – che ci portiamo appresso…dei luoghi comuni, dei giudizi, dei pregiudizi, ma anche delle certezze e di quelli che noi chiamiamo valori.
I pilastri che appartengono alla qualità dei valori che poniamo al centro sono gli ultimi che hanno a cadere, sono gli ultimi che siamo disposti ad abbandonare perché danno risposte chiare nel momento in cui ci poniamo il dubbio di come vivere. Ma, in quel momento in cui noi ci poniamo il dubbio di come vivere e lo facciamo utilizzando quelli che sono questi pilastri, non facciamo altro che scegliere attraverso qualcosa di già conosciuto, mentre invece è tempo di andare ad attingere nello sconosciuto, in ciò che non è palese, in ciò che rimane ancora nascosto, tesoro privato…
Sì, credo sia possibile fare ciò che ho detto e credo che sia possibile farlo attraverso il nostro essere assieme. Io lo sto già facendo, con voi.
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In quale modo la provocazione va a rendere palesi questi pilastri? Ma chiaramente cercando di provocare quella che è la reazione codificata del nostro essere brave persone, del nostro essere corrette persone.
La provocazione vi costringe a reagire; più la provocazione è pressante e più la reazione è immediata e inconsapevole. Attraverso questi automatismi l’uomo vive e il renderli palesi, senza giudizio e senza timore del giudizio di altri, li definisce nella loro essenza.
Noi abbiamo l’immagine, ma è parziale. Io non so se…se ciò che sto dicendo trovi rispondenza nel vostro bisogno, nel vostro desiderio di conoscere. Di sicuro appartiene al mio bisogno e al mio desiderio di conoscere.
Voglio dire ancora un’ultima cosa prima di lasciarvi per ciò che è il corpo comune e riguarda la sedimentazione delle esperienze. Quando l’energia del vivere, quando l’energia che permette all’uomo di essere uomo e di agire vortica e agisce in modo – non so come dire – quando la tensione del vivere ha peso importante nel vostro quotidiano, ciò che sono le esperienze e quei brandelli di coscienza che andate ad acquisire attraverso il vostro agire rimangono sospesi, non trovano il posto che a loro compete, rimangono sospesi sempre in questo spazio, cercate allora di permettere a questi brandelli, granelli di consapevolezza, di depositarsi là dove devono…
E’ fondamentale affinché l’uomo cambi, si arricchisca.
Ma se la tensione rimane comunque sempre alta, frenetica, queste particelle rimangono sospese, in attesa di trovare loro collocazione e anche questo mantenerle sospese consuma, brucia, dissipa energia. Trovare degli spazi in cui davvero questi brandelli di consapevolezza possano decantare è fondamentale, necessario.
Sia per voi il corpo comune ora.
Visualizziamo la catena ora. Cerchiamo gli amici che con noi la compongono, cerchiamone l’aiuto, il bisogno, la forza……………………………………………………………………………………
Dal centro dello stagno parte un’onda, ci raggiunge, ci tocca……………………………………….
Un’altra onda parte dal centro dello stagno, è una vibrazione..ci raggiunge. Facciamo ad essa spazio, cassa di risonanza affinché la vibrazione divenga suono….voce……………………………

Potrei rischiare di perdermi, senza avere la certezza di potermi poi ritrovare.
Io so per certo di avere un percorso davanti a me, una missione in fondo, e il raggiungimento di essa mi porterà a completare ciò che è il mio disegno, ma se perdo la direzione e più non la trovo, che ne sarà?
Ci ho messo tempo, tribolazione, sofferenza, per arrivare a ciò che sono oggi e per come oggi sono attrezzata ad affrontare il mio percorso. L’energia consumata non è stata sprecata se è arrivata a far sì che io possa avere queste possibilità di lettura, di comprensione.
Io so, ed è inutile che mi si venga a dire che io sbaglio…io so e per arrivare a sapere ho compreso, ho analizzato, ho tratto le somme. Non mi si può dire ora che io – dopo aver fatto tutti questi gradini- debba per forza trovarmi alla partenza, sprovvista di tutto ciò che ho accumulato fino ad oggi.
Se proprio ho qualche dubbio, è sapere dove mettere ciò che ho accumulato fino ad oggi e come trarne beneficio.
Il mio vissuto ha avuto la sua importanza e oggi ancora ha la sua importanza… non posso, con un semplice colpo di spugna, azzerare ciò che io sono, se poi non avrò più neanche occhi per vedere ciò che io sono rimasta.
No… no,no… io non ci credo a ciò che Emanuele dice, faccia lui per ciò che gli compete. Per ciò che io sono mi basto io… e se qualche pietruzza luccicante troverò lungo il mio cammino, la porterò e deciderò io però di prenderla e trarne da essa beneficio.
Non mi può venir chiesto di porre a terra tutto ciò che già io porto con me per fare spazio a ciò che potrebbe mai neanche essere. No… io non ci sto.
D. (N) È più facile la tua via.
Lo so io quanto mi è costata…
D. (N) A tutti (è costata qualcosa).
Io so ciò perché…
D. (N) Tutti ci siamo costruiti questa via.
Io non ti conosco e non posso dire nulla, ma non voglio neanche farlo, perché mai dovrei, che bisogno ho?
D. (N) No… volevo dirti che ti capisco.
Cosa c’è dietro a questo?
D.(N) Nulla.
Io so quale potrebbe essere il pericolo… lo so perché ho visto altri che in questo plagio sono caduti… e se voi non siete in grado di vederlo…
D. (Fr) Allora noi stiamo sbagliando tutto?
Io non so cosa sia giusto per voi. Come si può pensare? Se io accettassi questo modo di pensare, accetterei anche che tu possa pensare ciò che è giusto per me, e io non voglio che avvenga, perché mai?Che bisogno ne trarresti, che utilità?
D. (Fr) Non si può condurre una vita pensando solo all’utilità.
Esiste una difficoltà del vivere, ed è l’attenzione affinché non venga troppo ad essere pressante che garantisce una vita migliore.
Torno a dire, io credo, io so, ne sono certa di quale sia il mio obiettivo. Perché dubitare?
D. (N) E lo puoi raggiungere anche con i bei mattoncini luccicanti?
È banalizzare… questo.
D. (N) No…
E io non voglio… io non voglio.
D. (N) Se ce lo spieghi ci aiuteresti.

Cerchiamo la catena ancora e rimaniamo in questo corpo comune. Delle onde partono ancora dal centro e vengono a toccarci,a muoverci, a rilassarci; è facile abbandonare la tensione.
Cerchiamo ora davvero di porci di fronte a ciò che noi appariamo; possiamo utilizzare ognuno di noi uno specchio e porlo di fronte a sé…o utilizzare anche la superficie dello stagno, se lo preferite.
Cerchiamo di leggere ciò che è la nostra apparenza, ciò che in questo momento noi appariamo, senza sforzo ma, al contrario, cedendo sempre di più affinché l’immagine divenga più comprensibile; il nostro essere si dilata e attraverso questa dilatazione possiamo spostarci da quello che è il nostro apparire e poterlo guardare. Con riconoscenza, affetto, amore.
Sempre di più cediamo e dilatiamo il nostro percepire…

FINE NASTRO